sabato 20 maggio 2017

LA CARTIERA di Costantino Jadecola


L’interesse nei confronti della cosiddetta archeologia industriale, ovvero, più in particolare, della storia dell’industria cartaria - che insieme a quella laniera costituì un patrimonio di consistente entità specialmente per l’alta Terra di Lavoro - non può escludere dal novero di un tal genere di iniziative il ruolo avuto dalla cartiera Pelagalli di Aquino al cui ricordo, inevitabilmente, non può non abbinarsi un omaggio ad un affluente del Liri, la Forma di Aquino, forse l’unico affluente, oltre al Fibreno, cui venne affidato il compito, non di poco conto, di fornire energia ad una iniziativa industriale.
Alimentato dalle sorgenti che si aprono sulle più basse pendici di monte San Silvestro, propaggine del Cairo, in località Capo d’acqua nel territorio di Castrocielo, la Forma, dopo un percorso iniziale in parte disegnato dall’uomo, all’altezza della chiesa della Madonna della Libera, dunque in luogo immediatamente precedente la cartiera, effettuato un salto di quota di circa 13 metri va quindi ad occupare un proprio spazio nel letto degli antichi laghi di Aquinum, poi detti «Pantani», ed il motivo è facilmente intuibile, per raccordarsi, infine, con il fiume Liri.
L’adattamento artificiale del percorso iniziale della Forma viene generalmente collocato in epoca medievale anche se in prosieguo di tempo probabilmente venne abbandonato a sé stesso. Supporre, comunque, che tale adattamento fosse giustificato, oltre che da mere ragioni di bonifica, soprattutto per un più razionale utilizzo delle acque, è ipotesi da non scartare. A parte il fatto, degno di nota, che a monte ed a valle della zona dominata dalla chiesa della Madonna della Libera il percorso venne «inserito» nel sito dell’antica via Latina ormai in disuso, non è di poco conto il particolare determinato dalla presenza, proprio in quel tratto di via Latina riconvertito in letto della Forma, di un antico arco - già allora, come ancora oggi del resto, degnato di attenzione alcuna anche se ritenuto dagli studiosi una chicca di epoca augustea - che consentiva di poterne sfruttare la struttura per supportare i marchingegni occorrenti a regolarizzare il corso delle acque.
Ma per farne cosa di queste acque? Probabilmente un mulino, forse proprio quel mulino «a palmenti» che nel 1818 un Pelagalli, Pasquale, per l’esattezza, acquistò dal regio demanio.
La cartiera nasce dopo, nel 1843, e sarebbe stato proprio un figlio di Pasquale, Gaetano, a convertire il molino in cartiera, sfruttando ovviamente la forza idraulica prodotta dalla caduta delle acque della Forma.
Inutile precisare che le notizie su questa iniziativa industriale sono rare. Si ha però motivo di ritenere che l’avvio dell’attività non fu dei migliori a causa soprattutto di una gestione «familiare» attuata con ogni probabilità per lesinare sui costi e preferita, dunque, ad una gestione che avrebbe dovuto beneficiare dell’assistenza di personale specializzato. Pare, insomma, che esauriti i capitali di cui si disponeva, al fine di far fronte ai debiti fu inevitabile, per i Pelagalli, disfarsi di un centinaio di tomoli di terreno la cui vendita avrebbe fruttato sui 6.000 ducati, forse un centinaio di milioni di oggi.
Il risultato, però, non dovette essere in linea con le attese se si ritenne più conveniente affidarne la gestione a terzi. Ma si andò di male in peggio: capitò, infatti, sulla strada dei Pelagalli un certo Alviggi, forse Bonaventura, di Amalfi - che per il fitto avrebbe corrisposto sui 400 ducati l’anno - il quale, a transazione di una lite giudiziaria da lui stesso promossa, avrebbe infine preteso un consistente buonuscita.
Quanto alla produzione, la cartiera Pelagalli realizzava principalmente, se non esclusivamente, carta paglia, ovvero un tipo di carta ottenuta mediante la macerazione della paglia nella calce «viva» ed utilizzata ancora per qualche decennio dopo la seconda guerra mondiale soprattutto per avvolgere gli alimenti; talvolta, però, si produceva anche carta cosiddetta «bigia» e ricavata da un impasto di stracci e carta da macero.
Le vicende della cartiera seguirono quindi un andamento altalenante comunque proiettato verso un seppur modesto progresso: da una Statistica dell’Industria della Carta nell’Italia Meridionale si ha notizia che nel dicembre del 1860, con l’utilizzo di una sola macchina, l’unica, peraltro, di cui era dotata, e di «una turbina idraulica a cinque cilindri» (1882), essa produceva ogni giorno una decina di quintali di carta; da altra fonte apprendiamo, invece, che nel 1876 arrivava a dar lavoro addirittura a 90 operai. Considerato che la popolazione di Aquino si aggirava a quei tempi sulle duemila unità, essa costituiva dunque una buona risorsa per l’economia locale occupando, in dettaglio, 30 «maschi»” (pari al 33,33 per cento del totale), 20 «femmine» (22,22) e 40 «fanciulli» (44,45).
Nel giro di una ventina di anni, però, l’occupazione si affievolì notevolmente: i primi segnali di crisi arrivarono nel 1882 quando i posti di lavoro scesero a 75 per ridursi ulteriormente ad una quarantina alla fine del secolo. Ma c’è da precisare che il calo occupazionale registrato nel ventennio in questione fu un evento generalizzato, che interessò, cioè, tutto il settore cartario nazionale per via del progresso tecnologico e della conseguente maggior produzione di forza motrice.
Nel contempo cambia radicalmente anche la «fisionomia» dei lavoratori occupati: infatti, pur se permane identico a vent’anni prima, cioè a 30 unità, il numero dei «maschi», stavolta, però, esso costituisce nel complesso ben l’81,08 per cento del totale; al contrario, si contrae il numero delle «femmine», appena 5 (13,51), mentre è di notevole consistenza il calo della manodopera infantile, ridotta a due sole unità (5,41), di sicuro in seguito all’approvazione della legge che regolamentava il lavoro minorile (n. 3657, 11 febbraio 1886).
Quanto agli operai della cartiera Pelagalli, in particolare le «femmine», è il caso di citare una testimonianza collegata alla riscoperta, se non addirittura alla scoperta, della vicina chiesa della Madonna della Libera per via della presenza, in quella zona, di «un lastrone di marmo bianco» al cui centro, «con colore alquanto nerastro si vedeva effigiata una mano distesa». Ciò «avea fatto invalere negli animi degli Aquinati e specialmente nella classe contadinesca che in quel sito» fosse apparsa la Madonna della Libera: «una devozione per siffatto creduto prodigio animava tutti gli indigeni del paese a tributare il loro omaggio, ed in special modo tutte le artigianelle della vicina cartiera prima e dopo il loro travaglio quivi genuflesse con armoniose voci intuonavano l’inno a Maria» (Nota anonima manoscritta in G. Botta, Romanzetti storici contenenti fatti contemporanei dal 1860 in poi. Napoli, 1875).
Alla fine del XIX secolo la cartiera Pelagalli, che all’epoca contava su una forza idraulica di 40 cavalli, non doveva costituire l’unica attività «industriale» svolta in Aquino se dalla stessa fonte apprendiamo della presenza di una decina di telai per la «tessitura di stoffe liscie operate in lino e canape» che assicuravano una durata media di lavoro annuo di 120 giorni (Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Caserta nel 1889. Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Direzione generale della statistica. Roma, 1889).
Tra il 1909 ed il 1910, ad iniziativa di un altro Gaetano Pelagalli, nipote dell’omonimo fondatore della cartiera, nella parte più elevata del terreno a disposizione, che era anche quella più prossima all’arco onorario, si costruì un’altra cartiera, ma di più modeste dimensioni, utilizzata essenzialmente per la produzione di un nuovo tipo di carta paglia, detta «toscana», caratterizzata, in particolare, da uno spessore più sottile rispetto a quella prodotta nella «vecchia» cartiera: poiché usciva ancora bagnata dalla macchina, necessitava di essere asciugata servendosi di appositi stenditoi ed utilizzando pesanti magli; da altra fonte del tempo, e con evidente riferimento alla cartiera Pelagalli, si ha notizia che in Aquino «è fiorente l’industria della carta da imballaggio» (Francesco Sarappa, Terra di Lavoro. Notizie geografiche, storiche, sociologiche della Provincia di Caserta. Napoli, 1917). E tuttavia da precisare che l’attività della cartiera di Aquino venne gestita a cavallo del secolo e forse per una quarantina d’anni (1880-1922?) da Riccardo Procaccianti, un imprenditore di Guarcino dove la sua famiglia possedeva un’altra cartiera ed un’altra ancora la possedeva a Prata Sannita, in provincia di Caserta.
L’attività della cartiera di Aquino non dovette andare molto al di là del 1922, anno della morte del Procaccianti tanto che non è da escludersi che a seguito di ciò alcuni operai aquinati si spostarono nella cartiera di Prata Sannita, dove tuttora ci sarebbe traccia di essi o, comunque, dei loro discendenti. Sta di fatto che nel 1926 quello che era «un antico stabilimento industriale per la produzione della carta», come si legge in un documento attinente la cessione del complesso alla famiglia Cerrone nei primi anni del secondo dopoguerra, «fu adibito parte ad uso rurale e parte a centrale elettrica per la produzione di energia», centrale già attiva presso il mulino San Costanzo sin dal primo decennio del Novecento sempre per iniziativa della famiglia Pelagalli. Ma a causa degli eventi bellici dell’ultimo confitto mondiale anche il macchinario che costituiva la centrale elettrica andò distrutto insieme a buona parte dei restanti fabbricati cosicché «del vecchio stabilimento denominato ‘Cartiera’ rimanevano pochi ruderi di fabbricati e i diritti dalla derivazione delle acque».

 

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