Se potesse parlare
chissà quante storie una semplice porta racconterebbe: storie sicuramente di un
tempo lontano in quanto, a guardarla, sembra che di anni ne abbia parecchi.
È piuttosto consunta,
scrostata, scolorita, poiché sottoposta continuamente ai raggi del sole, e alla
violenza delle intemperie che l’hanno rovinata.
Ma ancora è lì, benché
solitaria ormai, inservibile…
È difficile dire quante
volte abbia girato attorno ai suoi cardini, per essere chiusa o aperta, aperta
di nuovo e richiusa, con delicatezza o brusche maniere.
Sarebbe interessante,
innanzitutto, risalire al falegname che l’ha costruita o, addirittura,
all’albero che ha fornito il legname a essa necessario… Ma è impresa difficile,
praticamente impossibile.
Non si conosce il suo
aspetto originario (lo si può solamente intuire), di quando cioè, per la prima
volta, fu posta a chiusura della casa per proteggerne i beni e gli abitanti; né
si sa chi abbia dimorato dietro quella porta, quali mani l’abbiano spinta,
sfiorata, quasi accarezzata, di quanti pianti o risa sia stata testimone.
Oggi non resta di essa
che la struttura decrepita, la quale, con il passare degli anni, andrà
peggiorando sempre di più, come accade solitamente a tutte le cose ormai
vecchie, dimenticate… e non a queste soltanto.
Per molti aspetti, il
destino della porta ricorda quello precario dell’uomo, di ogni essere vivente: vittime anch’essi del tempo che tutto
trasforma e distrugge inesorabilmente, nella sua corsa inarrestabile. E forse per
questo motivo la porta ci ispira, a guardarla, una certa simpatia e, assieme,
una profonda tenerezza.