Foto: Decreto n. 9142 per la erezione e dotazione di una coadiutoria perpetua nella nuova chiesa de’ SS. Cuori di Gesù e Maria nella contrada detta Le Valli presso Aquino (Da “Collezione delle Leggi e de’ decreti reali del Regno delle Due Sicilie” dell’anno 1844, numero 351).
Dovette
essere una gran bella festa quella svoltasi a contrada Valli la terza domenica
di settembre del 1843. Il 23 di quel mese, infatti, il sindaco di Aquino, che a
quel tempo era Celestino Bonanni, riferisce al sotto intendente di Sora che “vi
fu sparo di mortali, tamburi, zampogne, il sorteggio di due polli ed il giuoco
del gallo.” (ASFr. Sottoprefettura di
Sora. Comune di Aquino, b. 53). Una gran bella festa, insomma. Con un neo,
però: “per la celebrazione di questa festività, non vi è [stato] per parte
della polizia alcun permesso” (Idem),
che è poi il vero motivo per il quale il sindaco di Aquino si vede costretto a
mettere nero su bianco.
Naturalmente
il sotto intendente vuol vederci più chiaro e allora, il 13 ottobre, il sindaco
Bonanni deve tornare sull’argomento e precisare che, “in riguardo a coloro per
parte de’ quali venne celebrata la festa dell’Addolorata nel villaggio le Valli
(…), un tale Gioambattista Peppefiacco di Pontecorvo distribuiva la polvere
perché si sparasse e che quasi tutti i Vallesi capaci di sparare sparavano: ciò
per la parte esegutiva. Non mi è stato poi possibile”, però, precisa il
sindaco, “conoscere ad onta dell’alta premura che me ne sono presa chi fossero
stati i deputati amministratori della festa che ci occupa” (Idem).
Dispiace il
non sapere chi fossero costoro. Ma questa lacuna è ampiamente compensata dalla
notizia che all’incirca 170 anni or sono alle Valli di Aquino già si
festeggiava la terza domenica di settembre, come ancora oggi, del resto. La
curiosità, piuttosto, è un’altra: ma già allora lo spazio antistante la piccola
chiesa era il punto focale dei festeggiamenti? In parole povere, la chiesa
c’era già, o no?
Tutto lascia
propendere per una risposta affermativa se dobbiamo dar credito alle doglianze
del parroco del tempo che, come avremo modo di vedere più avanti, doveva
chiamarsi don Claudio Pagliuca, il quale affermava che nel 1867 la chiesa era
“cadente”. Lo si legge in una lettera con la quale il 18 luglio di quell’anno
il facente funzioni da sindaco di Aquino Carlo Spezia ne riferiva al sotto
intendente di Sora precisando che lo stesso parroco “da più anni faceva
conoscere un tale inconveniente e fattosi carico i superiori di quel tempo
disponevano sull’amministrazione diocesana prelevarsi la somma di ducati 237.20
riputati necessari giusta la perizia e sovramonte detta somma fu accettata” (Idem). Accadde, però, che la somma
stanziata non venne mai erogata cosicché la chiesa non solo non fu restaurata
ma se ne accrebbe il guasto al punto di non essere “quasi non più atta al culto”
(Idem).
Ma, se nel
1867 l’edificio era piuttosto malridotto, che anzianità poteva avere?
Naturalmente non è facile rispondere ad una domanda del genere. Sta di fatto
che Pasquale Cayro nella sua Storia sacra
e profana di Aquino e sua diocesi (Napoli. Vol. I. 1808, vol. II. 1811),
pubblicata tra la fine del primo decennio del diciannovesimo secolo e l’inizio
del successivo, ad esso non fa cenno alcuno segno evidente che o la chiesa
ancora non esisteva o anche, considerato che contrada Valli è in una zona
interna, che ne ignorasse l’esistenza.
Caratterizzata
da dolci declivi ancora per buona parte ricoperti da quei boschi che un tempo
dovevano caratterizzare l’intero territorio, contrada Valli, piuttosto
decentrata rispetto all’abitato di Aquino (direzione sud-est), è la località
che ospitò alcune delle famiglie che, lasciata la valle di Comino, vennero a
cercare fortuna in quella del Liri: tra le altre, quelle dei Fusco e dei
Morelli, cognomi ancora presenti a Valli, provenienti da Casalattico (Rocco
BONANNI, Ricerche per la Storia di Aquino.
Alatri, 1922, p. 31).
Quando ci fu
questa immigrazione doveva essere la seconda metà del diciottesimo secolo,
anche perché questi cognomi non compaiono né nello “Stato delle anime” del 1749
né nel catasto onciario di Aquino del 1752 (Costantino JADECOLA, Il paese dei “bracciali”. Cassino,
2007), cosicché si ha motivo di supporre che la costruzione della chiesa
potrebbe essere collocata, per grandi linee, tra la fine del Settecento e l’inizio
dell’Ottocento e ciò per favorire le esigenze spirituali degli abitanti del
luogo, che intanto si erano sicuramente accresciuti, cui sarebbe risultato
molto difficile spostarsi sino ad Aquino da cui Valli dista alcuni chilometri.
Una conferma
in tal senso viene dalla tradizione orale alla quale certamente fecero ricorso
Anna Maria Massaroni e Maria Grazia Prata, all’epoca alunne delle scuole
elementari di Aquino, che sollecitate dall’insegnante Tommaso Di Nallo,
scrissero che, perché quegli immigrati “potessero pacificamente dedicarsi alla
bonifica del luogo e vivervi in moralità, il Borbone vi fece anche erigere una
linda chiesetta dedicata alla Madonna Addolorata. La speranza del monarca non
andò delusa; infatti la colonia vi prosperò tanto bene che l’inospite luogo fu
presto volto a fertile coltura” (Aquino
nostra. Anno scolastico 76-77, p. 13).
Né, circa la
sua edificazione, viene in soccorso il decreto con il quale il 31 dicembre 1844
Ferdinando II di Borbone permette al “Vescovo di Aquino, Sora e Pontecorvo di
ergere una coadiutoria perpetua nella nuova Chiesa di SS.mi Cuori di Gesù e di
Maria nella contrada detta le Valli di Aquino” (ASFr. Sottoprefettura di Sora. Comune di Aquino, b. 52.): è mai
possibile, infatti, che una struttura che nel 1844 viene definita “nuova”, 23
anni più tardi, sia già “cadente”, e da tempo?
Se permane
dunque il mistero sull’epoca della sua origine, un altro riguarda invece
l’intitolazione di questa chiesa che, come si è detto, viene riferita sia alla
Madonna Addolorata che ai SS.mi Cuori di Gesù e di Maria. Né esso viene risolto
dalle fonti ufficiali se sul sito internet della Diocesi essa viene indicata
come SS. Cuori alle Valli.
Ma torniamo
al decreto reale. Con esso, Ferdinando II consente anche “che la coadiutoria medesima
sia dotata di due vacandi benefizi semplici di nostro regio padronato
denominato l’uno di S. Rocco e S. Spirito in Terelle e l’altro della Madonna
del Buoncammino in Roccaguglielma a condizione, però”, precisa il re, “che il
diritto di nomina rimanga in perpetuo riservato a Noi ed ai nostri Successori e
che sebbene la enunciata coadiutoria sia nella dipendenza della matrice Chiesa
di Aquino, non possa però quell’Arciprete-Curato ritenere sulla popolazione
addetta alla stessa coadiutoria alcun diritto sia di decima, sia di Stola (nell’uso ecclesiastico anteriore al Concilio Vaticano II erano gli
emolumenti che i parroci avevano diritto di percepire dai fedeli, secondo gli importi
stabiliti dalla consuetudine o da apposita tariffa diocesana in occasione di
funzioni religiose, riguardante specificamente i singoli), o di
altra prestazione alcuna ma tutte le prestazioni ed i diritti competenti al
Parroco sulle anime della coadiutoria” (ASFr, cit., b. 52).
Ma ci si
attenne sempre a quel diritto di nomina che Ferdinando riserva a sé stesso ed
ai suoi successori? Evidentemente no se qualcuno solleva il caso del già
ricordato don Claudio Pagliuca che da almeno una decina di anni, cioè dal 1860,
si trova investito della titolarità di quella Coadiutoria. Ci si chiede: si
trattò di una investitura sovrana o fu il Vescovo del tempo a deciderla? A
porsi l’interrogativo è addirittura il ministero di Grazia e Giustizia, Affari
di culto, che evidentemente su sollecitazione di qualcuno, il 6 luglio 1870 si
attiva per andare a fondo della questione. A quale conclusione giunga il
ministero non è dato sapere ma può supporsi che quella nomina sia stata
d’iniziativa vescovile considerato che al tempo in cui essa avvenne il vescovo
della diocesi di Aquino, Sora e Pontecorvo era il molto chiacchierato vescovo
mons. Giuseppe Montieri (Trevico (Av) 18 novembre 1798 - Roma, 12 novembre
1862) il quale, oltre a vantare una grande amicizia con re Ferdinando, era un
convinto assertore della causa borbonica.
Non ci sono
problemi, al contrario, nell’identificare i due “benefizi semplici di Regio
Patronato” di cui parla il re nel suo decreto. Lo si apprende dal verbale
redatto in Aquino il 15 settembre 1904 con il quale l’avv. Giovanni Iadecola,
Regio Subeconomo dei Benefizi Vacanti, consegna i beni appartenenti alla
parrocchia della SS. Addolorata al sacerdote Francesco Morelli nominato parroco
della stessa, questo sì “con Real Decreto del 27 novembre 1902 e con successiva
bolla vescovile del 9 gennaio 1903” e da quello della restituzione degli stessi
beni a seguito della scomparsa (15 marzo 1901) di don Salvatore Di Marco, già
appartenente ai “soppressi Riformati di Palermo” (Frati Minori
Conventuali di Sicilia), che aveva retto quella
chiesa dal primo luglio 1897.
I “benefizi”
di S. Rocco e S. Spirito sono costituiti da terreni tutti in territorio di
Terelle. Essi si trovano in località Fossato, Cardito, Scarpella, Vallecupa,
Vurena, Colle S. Pietro, Rotundo, Ceraselle, Colle Fozio, Le Cese e Noce
Rezzella e sono tenuti tutti in fitto da Vincenzo Leone fu Celestino e da
Pietro Azzoli fu Angelantonio, entrambi del luogo, “per annue lire
centoquaranta con contratto verbale”.
Quanto,
invece, ai fondi della Madonna del Buoncammino, essi sono in territorio di
Roccaguglielma (poi Esperia). Quelli di località Rava Dorata, Canale
Imperatore, Cerqua S. Antonio o Colomba e Vigne Doriche o Tore o Acquaviva
“sono fittati verbalmente per annue lire quaranta a Luigi Villani di
Francesco”; quelli di località Muro Tagliato, S. Croce o Castagneto, Noce del Vivo
o Coppi, Fossa dei Fiocchi, Lago, Casalino del Rosario, Marroni, Mazzoncelli,
sono tenuti in fitto da Filippo Ciavolella fu Francesco; il fondo detto Starza
di Monticelli è tenuto a colonia parziaria da Ambrogio Cerrito ugualmente a
quello che Vincenzo Ciaiola tiene in località Campo o Campogrande. Basilio
Grossi, infine, corrisponde un canone annuo di lire tre “sul fondo olivetato S.
Francesco” (ASFr, cit., b. 52).
Al di là di
questi “benefizi” e di riferimenti ad alcuni documenti, nel verbale in questione
si parla, ovviamente, della chiesa e dell’annessa sagrestia al cui interno, si
precisa, si trovavano un tavolino, una pianeta, un calice di rame cedro, un
secchiello di rame, otto candelabri di legno in pessimo stato, un crocefisso
per altare, tre tovaglie in cattivo stato, una custodia, un camice, una statua
dell’Addolorata in carta pesta ed una della Concezione in cattivo stato ed una
piccola campana.
Tutto qui.
Che per una chiesa come quella di contrada Valli, della quale sin qui si sapeva
poco o niente, è, comunque, molto più di qualcosa.
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