mercoledì 10 maggio 2017

FAVE di Peppe Murro

Le fave cotte non mi erano mai piaciute, ma il pane rosso sì….
Né pioggia né vento.
Era una di quelle mattine che novembre ti regala quando è infuriato: una nebbia fitta e umida che pareva ci potessi navigare dentro ad ogni passo; te la sentivi colare sulle tempie come un muro d’acqua biancastro in cui la strada si immergeva e il tuo respiro gettava fuori in sospensione aliti di vapore che si dissolvevano lentamente.
Era anche, però, il giorno delle fave e quella mattina avevamo deciso di alzarci presto per essere tra i primi, però quando arrivammo lì già c’era una grossa fila di persone; cercavamo di infilarci, ma i grandi ci passavano davanti senza troppi complimenti.
Alla fine, come dio volle, venne il nostro turno: Angelo con quella specie di tazza da latte che aveva portato, teneva le mani strette agguantando con occhi attenti la sua porzione di fave calde, il viso pacioso e soddisfatto; poi toccò a Tonino che aveva portato una gavetta tanto grande che sembrava un secchio, ed alla fine io, con la mia brava gavetta d’alluminio ammaccata.
Ci mettemmo in un angolo scaldandoci le mani al calore delle gavette; loro due cominciarono a mangiare con allegra voracità, io cincischiavo girando il cucchiaio in quella che mi appariva una brodaglia melmosa; provai pure a dare un morso al tozzo di pane rosso… buono e fresco, caldo e pastoso che ti riempiva la bocca promettendo di fare altrettanto con lo stomaco.
A testa bassa, quasi col naso incollato alla gavetta, Tonino mangiava famelico le fave; io lo guardavo e mi chiedevo che facevano a piacergli le fave cotte.
Ad un certo punto si girò verso di me: “Ma non mangi?”
“No, veramente non è che mi piacciono tanto le fave cotte”.
Uno sguardo furbo e disse: “Allora le mangio io”.
Prese la mia gavetta rovesciando il contenuto nella sua, con un roteare vorticoso del cucchiaio.
Poi mi guardò di nuovo e disse: “Eh, ma le fave senza pane non sono buone” e allungò, rapace, la mano.
Restai lì seduto mezzo imbambolato, a guardare la gente che prendeva le fave, e Angelo con le mani incollate alla tazza, e Tonino, che mangiava contento il tozzetto di pane che non avevo salvato.

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