Le fave
cotte non mi erano mai piaciute, ma il pane rosso sì….
Né pioggia né vento.
Era una di quelle mattine che novembre ti regala
quando è infuriato: una nebbia fitta e umida che pareva ci potessi navigare
dentro ad ogni passo; te la sentivi colare sulle tempie come un muro d’acqua
biancastro in cui la strada si immergeva e il tuo respiro gettava fuori in
sospensione aliti di vapore che si dissolvevano lentamente.
Era anche, però, il giorno delle fave e quella
mattina avevamo deciso di alzarci presto per essere tra i primi, però quando
arrivammo lì già c’era una grossa fila di persone; cercavamo di infilarci, ma i
grandi ci passavano davanti senza troppi complimenti.
Alla fine, come dio volle, venne il nostro
turno: Angelo con quella specie di tazza da latte che aveva portato, teneva le
mani strette agguantando con occhi attenti la sua porzione di fave calde, il
viso pacioso e soddisfatto; poi toccò a Tonino che aveva portato una gavetta
tanto grande che sembrava un secchio, ed alla fine io, con la mia brava gavetta
d’alluminio ammaccata.
Ci mettemmo in un angolo scaldandoci le mani al calore
delle gavette; loro due cominciarono a mangiare con allegra voracità, io
cincischiavo girando il cucchiaio in quella che mi appariva una brodaglia
melmosa; provai pure a dare un morso al tozzo di pane rosso… buono e fresco,
caldo e pastoso che ti riempiva la bocca promettendo di fare altrettanto con lo
stomaco.
A testa bassa, quasi col naso incollato alla
gavetta, Tonino mangiava famelico le fave; io lo guardavo e mi chiedevo che
facevano a piacergli le fave cotte.
Ad un certo punto si girò verso di me: “Ma non mangi?”
“No, veramente non è che mi piacciono tanto le fave cotte”.
Uno sguardo furbo e disse: “Allora le mangio io”.
Prese la mia gavetta rovesciando il contenuto
nella sua, con un roteare vorticoso del cucchiaio.
Poi mi guardò di nuovo e disse: “Eh, ma le fave senza pane non sono buone”
e allungò, rapace, la mano.
Restai lì seduto mezzo imbambolato, a guardare
la gente che prendeva le fave, e Angelo con le mani incollate alla tazza, e Tonino,
che mangiava contento il tozzetto di pane che non avevo salvato.
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