lunedì 20 marzo 2017

I PANICELLI DI SAN GIUSEPPE di Costantino Jadecola



Anche se sono decenni, ormai, che quella tradizione non esiste più, tuttavia, chi è più avanti negli anni la ricorda ancora; chi, invece, si è affacciato alla vita in epoche più recenti la ignora del tutto. Ed è anche per questo che, forse, è opportuno ricordarla.
Si parla dei “panicelli”, o “panicèglie” che dir si voglia, ovvero i piccoli pani che, a coppia, venivano distribuiti per iniziativa della famiglia Capozzella in tutte le case di Aquino il giorno della vigilia di San Giuseppe, il 18 marzo. Realizzati con la farina bianca, all’epoca privilegio per pochi, con lo stesso procedimento del pane “fatto in casa”, la loro preparazione richiedeva l’apporto di una consistente mano d’opera dovendosi lavorare oltre un paio di quintali di farina: vi partecipavano, infatti, almeno sei, sette persone, che iniziavano la preparazione già il 15 marzo per concluderla, con una serie di “fornate”, all’alba della vigilia della festa di San Giuseppe. Quel giorno, infatti, ma solo dopo che i pani erano stati benedetti, incaricati della famiglia Capozzella, servendosi dei classici canestri di vimini, provvedevano alla loro consegna al domicilio di tutte le famiglie di Aquino, nessuna esclusa. L’attesa era grande: era il pane di San Giuseppe. Ma, soprattutto, era pane bianco. E quelli erano tempi solo di pane rosso.
La tradizione, però, non si esauriva con la distribuzione dei “panicelli”. I beneficiati, infatti, lo consumavano a pranzo ma solo dopo aver compiuto un ulteriore, piccolo rito: una volta che i pani erano stati divisi in tante parti quanti erano i componenti il nucleo familiare, prima di consumarlo ognuno baciava il pezzo che gli era toccato e, quindi, si segnava.
Sull’origine dell’iniziativa, conclusasi agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, pare che essa debba mettersi in relazione con un voto fatto da un sacerdote della famiglia Capozzella, certo don Alessandro, che, in un’epoca imprecisata, probabilmente nel 1700, di ritorno da un viaggio in Terrasanta se la dovette vedere piuttosto brutta perché la nave su cui viaggiava incappò in un violento nubifragio tant’è che la speranza di venirne fuori incolume sembrava davvero ridotta al lumicino. Poi, però, la situazione volse al meglio anche per via delle molte preghiere innalzate al cielo dai terrorizzati passeggeri della nave, in particolare a gloria di San Giuseppe essendo quello del nubifragio, si racconta, il giorno della vigilia della sua festa.
Anche don Alessandro fece il suo voto al Santo promettendogli che, semmai si fosse salvato, lo avrebbe ripagato opportunamente. E così fu.
Ma perché il voto si concretizzò poi nei piccoli “pani a coppia”?
Di una analoga usanza si ha riscontro a Veroli dove “nei secoli passati, i canonici della Cattedrale erano soliti far distribuire in elemosina, due volte l’anno, insieme alle ‘palate’, pani di forma e dimensioni più grandi”, appunto il “pane detto a coppia”. Marcello Stirpe, che ha analizzato questa tradizione verolana insieme a quella dei cosiddetti “uccelletti di San Biagio”, piccoli mostaccioli anch’essi prodotti in coppia (La Provincia, “Le pagine del tempo”, 7 febbraio 2003: Veroli: gli antichi riti per la festa di San Biagio), ritiene che essa debba essere messa in relazione con “una antichissima tradizione praticata il 2 febbraio, giorno in cui la chiesa ricorda la presentazione di Gesù al Tempio. In tale circostanza, infatti, si soleva accompagnare l’offerta del maschio primogenito al Signore con il sacrificio di una ‘coppia di tortore’ o di ‘giovani colombe’, come riferisce l’evangelista Luca (2, 22 e segg.)”. È possibile, conclude Stirpe, che col tempo sia mutato tanto il significato originario della ricorrenza che lo stesso contenuto dell’offerta. È probabile, invece, che il “pane a coppia” avesse ancora una sua valenza evangelica al tempo in cui don Alessandro Capozzella decise di intraprendere quella sua iniziativa, ovvero egli fosse a conoscenza di altre simili già attuate sul territorio in ambito ecclesiastico, tra cui, forse, proprio quella di Veroli.
Cessata la tradizione dei «panicelli», con l’equivalente della somma necessaria alla loro produzione, la famiglia Capozzella ha comunque continuato a sostenere iniziative benefiche per perpetuare così, in tempi in cui il pane, anche se bianco, sembra non avere più il valore di una volta, il voto fatto dal suo antenato.
Da qualche anno, la tradizione dei «panicelli» di San Giuseppe è stata ripresa dall’associazione «La Torre». Con alcune varianti: tra l’altro, vengono distribuiti in piazza.
 

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