sabato 22 aprile 2017

IL VESTITO DI PANNO TURCHINO di Costantino Jadecola


Si chiamava Tommaso Ricci ed era figlio «del vivo» Giuseppe Antonio. Originario di Aquino, dove era nato nel 1837, faceva il bracciante nelle campagne di Ceprano. Tutto sommato una persona abbastanza tranquilla almeno sino all’inizio del mese di ottobre del 1865, quando decise di cambiar vita e di andarsi ad arruolare nella banda del brigante Costantino Mattei, detto Medichetto, nella purtroppo non errata convinzione che ne avrebbe tratto un tornaconto sicuramente maggiore «da quello che ritraeva dalle sue giornaliere fatiche, sebbene gli fosse stato questo sufficiente per vivere avendo persino avuto la mercede di bai[occhi] 20 al giorno», come relaziona il «giudice procuratore» Angelini nell’atto istruttorio (18 febbraio 1866) custodito tra i documenti presso l’Archivio di Stato di Frosinone (Delegazione Apostolica - Affari generali, militari, polizia. B. 72, f. n. 58). Per i riscontri, comunque, non si dovette attendere più di tanto: il lacero e miserabile «vestito» che aveva indossato sino ad allora venne infatti ben presto sostituito con uno del tutto nuovo di panno turchino cui abbinò un bel paio di stivaloni in pelle. E, tanto per gradire, spuntò fuori anche un’amante: la vedova cepranese Agnese Germani.
La cosa, ovviamente, non sfugge ai più; lui, però, per non dare ad intendere quel suo cambio di «attività» il 19 ottobre si era procurato un foglio di via «per le campagne romane e lavori delle ferrovie, onde far credere alla Polizia che egli era dedito alla fatica» anche se la sua scomparsa «dai lavori campestri in Ceprano» ben presto «fece sorgere la voce pubblica di essersi dato al Brigantaggio.» D’altro canto, egli fece del tutto per avvalorare tali voci facendosi «veder girovago per Ceprano e campagna» con indosso il nuovo abbigliamento.
Ma perché Ricci si guadagnò quel ‘titolo’ di brigante? Come prima cosa attuò una «estorsione in conventicola armata» a danno di Domenico Fanelli di Casalvieri, «nel regno di Napoli», dalla quale ricavò, con altri, circa 190 scudi ed oggetti vari.
Era «una ora prima del giorno» del mattino del 28 ottobre 1865 quando lui e due suoi compari armati di archibugi fermarono «il carrettino guidato dal vetturino Giovanni Vannoni che dirigevasi da Ceprano alla stazione della ferrovia portando persone»: fra queste, i tre malviventi focalizzarono la loro attenzione su Domenico Fanelli che, fatto scendere dal «carrettino», condussero in montagna.
A far da tramite per il riscatto fu una donna cui la moglie del Fanelli consegnò cento scudi; quando, però, l’operazione si concluse, al sequestrato non fu detto niente. La cosa andò avanti per un paio di settimane. Poi, «trovandosi il Ricci in unione di altri quattro tutti armati in custodia del Fanelli proposero a questi di lasciarlo in libertà qualora avesse poi detto di esser fuggito nel mentre essi dormivano, e purché avesse loro inviato scudi cento, e cinque vestiarii, cioè uno per cadauno, minacciandolo in caso diverso della vita e delle sostanze.» Fanelli trovò la proposta molto interessante e non esitò un minuto a tornare libero. Poi, una volta a casa, pur avendo appreso che il riscatto di cento scudi era già stato pagato, intese comunque non venir meno all’impegno assunto coi briganti.
Passa un mese appena e Tommaso Ricci è protagonista di un altro episodio, decisamente molto più grave.
Una colonna mobile di granatieri ed alcuni gendarmi il 12 dicembre erano stati in perlustrazione sui monti Cacume e Gemma. Dopo aver fatto sosta per la notte a Supino, dove si rifocillarono con «pane di formentone», nel discendere la mattina seguente la montagna di Cacume, vennero assaliti da una banda di briganti che «da una imboscata sul monte Gemma scagliava una scarica di fucilate contro la colonna militare, la quale corrispondendo con una altra scarica impegnava un vivo fuoco di contrasto. (…) Il Ricci ed un suo compagno, non contenti di tanto, si ponevano ad inseguire la colonna medesima in ritirata ed esplodendo delle archibugiate rendevano cadaveri il maresciallo Antonellini ed il Granatiere Emidio Venti nel tempo stesso che insultavano i militi rimasti indietro ‘a voi magna polenta!’», con un chiaro riferimento al cibo consumato la sera prima dalla truppa.
Sulle prime ore della notte di quello stesso 13 dicembre Tommaso Ricci si presentò a casa di Gio: Battista Basacchi e Girolamo Colafranceschi, suoi conoscenti, che abitavano non lontano da Ceprano, in contrada Selvotta, chiedendo loro alloggio e ricovero ma, soprattutto, un documento che attestasse la sua stabile dimora in quel luogo sin dal 19 ottobre. Se il Basacchi rifiutò di ospitarlo - ben sapeva, infatti, che Ricci si era dato al brigantaggio - diverso fu il comportamento di Colafranceschi il quale, nonostante fosse anche lui a conoscenza dell’attività criminosa intrapresa da Ricci, lo ospitava, «speranzandolo», ovvero assicurandogli il rilascio, «del ricercato documento» ma in realtà con l’intento «di farne eseguire il fermo per ottenere il premio stabilito». Cioè, la taglia.
E fu così. In sede di confessione, Ricci, pur confermando taluni degli episodi di quelli più prossimi al suo arresto riferiti dai testimoni, smentisce, ovviamente non creduto, di aver consegnato l’archibugio e quant’altro a Girolamo Colafranceschi. Non regge, però, nemmeno quel suo alibi che doveva escluderlo dall’aver preso parte allo scontro di monte Cacume. Ma fu soprattutto per via di quel vestiario «in panno turchino», vestiario che evidentemente dava molto nell’occhio, che la credibilità di Tommaso Ricci andò a farsi benedire. Egli, infatti, affermò di essere stato a lavorare in ferrovia nella zona di Passo Corese «sotto l’appaltatore Quaranta ed il caporale Francesco D’Ottavi e di avere da questi ricevuto il danaro per comprare in Roma il vestiario indossato.»
Agli inquirenti non ci volle più di tanto per verificare la concretezza dell’alibi: «non solo non si trovò notato nelle liste dei lavoranti il suo nome e cognome, ma non fu vero che il D’Ottavi fosse mai stato nella linea della ferrovia di Corese, il che dié piena prova per contestare che esso inquisito in quell’epoca stesse al brigantaggio, e che quel vestiario fosse il risultato delle operazioni di brigante, e non di lavorante alla ferrovia come pretese far credere.»
Ma che fine fece Tommaso Ricci? Le carte non lo dicono. Non è da escludere, però, che, dati i tempi, abbia subito una punizione esemplare. Forse, anche pagando con la vita.

Nessun commento:

Posta un commento