mercoledì 29 marzo 2017

LAVORO A GIORNATA di Tommaso Di Brango


Alla fine le sigarette arrivarono. Lavorare a giornata dagli Sfangari non gli consentiva di fare chissà che lusso, ma al fumo non avrebbe rinunciato. Passava la giornata insieme agli altri a scavare per le fondamenta della casa colonica da costruire nelle campagne al confine con Castrocielo: senza sigarette sarebbe impazzito.
Suo fratello non vedeva molto di buon occhio quest’impiego e avrebbe preferito di molto se si fossero unite le forze per mettere in piedi una ditta di muratura. Vivevano insieme nella vecchia casa dei genitori in via Scacchi, vicino alle Pentime: quindi ne parlavano spesso. In fondo, diceva il fratello, la differenza tra il lavoro in proprio e quello sotto padrone sta nel dover rispondere o meno ai comandi, perché il guadagno è grossomodo lo stesso e a fine giornata si arriva comunque con la schiena rotta.
«Questo finché si è soli», replicava lui. «Quando però si mette la ditta è come stare sotto padrone, perché i soldi non sembrano mai abbastanza a nessuno e poi si inizia a litigare».
«Perché con gli Sfangari invece non ci litighi? Meglio litigare con loro che con me?»
«Sì Giusè! Sì! Perché se San Tommaso me lo fanno perdere loro gli faccio un buonanotte a signoria e chi s’è visto s’è visto: ma se me lo fai perdere tu è capace che litigo con mio fratello e questo non deve succedere».
«Ma che litighiamo io e te? Sì, si può discutere: ma che caspita, ci si accorda alla fine!».
«No, Giuseppe. I soldi fanno disconoscere la mamma e il padre. Poi, col tempo, non saremo più nemmeno solo noi due. Dovremo prendere moglie prima o poi? È un po’ che i trent’anni se ne sono andati! Quindi non siamo solo io e te che ci dobbiamo accordare».
«La moglie uno deve sapersela tenere, sennò meglio che non si sposa proprio».
Questa discussione si ripresentò un giorno sì e l’altro pure fin quando Giuseppe non venne fulminato da una notizia. Rimase immobile per una buon mezz’ora, manco si stesse sentendo male.  

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