sabato 10 giugno 2017

15 FEBBRAIO 1944 di Tommaso Di Brango

Il grosso dell’inverno se n’era andato ma il freddo restava. Mai come quell’anno ho atteso l’arrivo della bella stagione. Le case della contrada erano state occupate dai tedeschi e noi tutti ci eravamo nascosti nelle grotte circostanti. Appiccavamo il fuoco: ma sempre freddo era.
Durante la notte non avevo dormito benissimo. Mi ero svegliato tre o quattro volte e ogni volta avevo faticato non poco per riprendere sonno. Quando avevo poggiato il capo mi si era messa in testa la scena di una casa in macerie e questo pensiero mi aveva tolto l’animo di dormire. Chissà se è vero che alcuni sogni predicono il futuro.
Sta di fatto che, alzandomi dal giaciglio di foglie dove avevo passato la notte, cercai la mano di mio padre. Da quando avevano invaso le Valli non avevo più detto una parola: riuscivo solo a cercare la mano di papà. Qualche anno dopo il medico che mi ha fatto fare riabilitazione mi ha detto che mi aveva preso un trauma perché mia madre non era più uscita dalla polvere. Aveva tirato un piatto in testa a un tedesco e loro l’avevano fucilata.
Papà mi diede la mano sinistra e, con la destra, mi carezzò i capelli. D’un tratto, però, sentimmo il volo di un aereo e, subito dopo, un boato in lontananza. Di lì a poco ne seguì un altro, e poi un altro e un altro ancora.
Ci affacciammo dalla grotta e vedemmo Montecassino in fiamme. Papà scambiò alcune parole con gli altri contradaioli nascosti nella grotta. Fortuna che non erano per noi, disse qualcuno.  

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