sabato 9 settembre 2017

AQUINUM: DAL SOGNO ALLA REALTA’ di Costantino Jadecola

 

Foto: Raffinate tracce di arte musiva dall'antica Aquino

Era la metà dei tanto decantati anni Sessanta e l’Autostrada del Sole era ormai cosa fatta. Ad Aquino, per il suo passaggio, era stata sgretolata una bella fetta delle Pentime ed il centro storico era stato separato dalle ultime piccole case che si allungavano al di sopra dello strapiombo, separazione poi superata da un ponte che ripristinava la connessione.
Un fatto nuovo che stimolava ancor più le passeggiate notturne tra le “Crucéla” e le “Pèntema” cui, proprio a seguito di esso, venne ad aggiungersi un terzo itinerario. Quello con l’area di servizio Casilina, forse il più stimolante di tutti perché, dopo un lungo tragitto nel buio più totale, approdavi infine in ambienti dove il neon dominava e che per noi, abituati alle poche candele delle nostre lampadine, la cui funzione sembrava più quella di farsi notare che illuminare, costituiva decisamente un passo nel futuro. A ciò si aggiungeva la possibilità di imbattersi in un mondo del tutto diverso da quello che allora si era abituati a frequentare e, talvolta, anche in qualche personaggio importante.
A rendere il tutto ancor più affascinante era il fatto che, per raggiungere questo mondo per noi avveniristico, per buona parte del percorso ci servivamo di una strada antica di oltre duemila anni, la via Latina, laddove essa transita nel centro di quello che era stato l’abitato di Aquinum che di tanto in tanto si manifestava con qualche reperto alimentando la nostra fantasia e le nostre chiacchiere anche se allora di certe cose se ne sapeva ben poco o, forse, niente.
Così, se si sapeva della presenza di un anfiteatro nella Aquinum di allora, di sicuro era ignoto ai più che i progettisti dell’autostrada, seppur con tanto spazio a disposizione, per consentire il passaggio dell’arteria avevano centrato in pieno ciò che restava di quell’antica struttura. Ma anche ad averlo saputo, non erano certo quelli tempi per fare barricate.
Un vero e proprio massacro che si sarebbe poi riproposto sul finire degli anni Ottanta in occasione dell’ampliamento dell’autostrada quando si fece finta di prestare una qualche attenzione a ciò che di quella struttura restava al punto da lasciare quasi a vista la parte di essa che “invade” la corsia di emergenza sul lato per Roma.
Ed altra attenzione venne ad esso dedicata quando, chi doveva “proteggerlo”, decretò la distruzione del caratteristico casale che nel 1700 era stato realizzato su uno spicchio dello stesso anfiteatro e che avrebbe quanto meno preservato nel tempo alcuni ambienti sotterranei.
Insomma, se l’autostrada ci offriva spunti avveniristici, contestualmente frantumava il nostro passato. Cosa che è accaduta ancora una decina di anni or sono quando si decise di intervenire sull’area di servizio Casilina per un suo totale rifacimento e si venne così a scoprire che essa, a suo tempo, senza ritegno e senza vergogna, era stata addirittura realizzata su una necropoli ricca di una settantina di tombe tutte dotate di un consistente corredo e la cui origine veniva fatta risalire tra il III e il II secolo a. C. A conferirle particolare prestigio, però, sarebbe stata la scoperta, il pomeriggio del 5 maggio 2005, di un letto funerario in osso di particolare fattura, che avrebbe avuto grande risonanza addirittura a livello nazionale.
Né può omettersi dal ricordare che nella medesima circostanza venne anche rasa al suolo la cappella dedicata a San Tommaso - una delle quattro all’epoca presenti sulla rete autostradale italiana - inaugurata appena 35 anni prima, il 7 marzo 1970, dal cardinale Pietro Parente nell’ambito delle iniziative per il VII Centenario della morte dell’Aquinate.
Ma non era solo l’autostrada a procurarci guai: con la costruzione della ferrovia per i treni ad alta velocità, infatti, se ne andava a farsi benedire un’altra buona fetta del passato in un saccheggio rimasto pressoché anonimo.
Comunque sia, se non c’erano corpi estranei ad interferire, ci pensavamo da soli a farci del male.
Sempre negli anni Sessanta, infatti, nelle adiacenze del teatro era stata autorizzata la costruzione di una abitazione mentre, tempo dopo, per il mattatoio di Aquino, i cui locali ospitano oggi il “museo della città”, era stato prescelto un sito davvero ideale per lo scopo cui era destinato posto com’era non lontano dalla chiesetta di San Tommaso e a metà strada tra la porta di San Lorenzo e la chiesa della Madonna della Libera.
Questa iniziativa, peraltro, fu talmente scandalosa che i giovani esponenti dell’allora efficientissima O.A.S.U., l’Organizzazione Aquinate Studenti Universitari, nonostante le non floride condizioni economiche, non badarono a spese e tappezzarono le mura della cittadina con un manifesto settanta per cento, che a quei tempi costava un occhio della testa, in cui, oltre il resto, campeggiava la scritta “Pietà per Aquino”: una contestazione bella e buona che sconvolse letteralmente le autorità comunali, nuove a quella forma di protesta.
Quella che percorrevamo nelle nostre passeggiate serali verso l’area di servizio Casilina se non era proprio la via Latina di un paio di millenni prima tuttavia ne ricalcava con una certa fedeltà il percorso che si allungava tra la porta orientale, o di San Lorenzo, e quella occidentale, o Romana. Col tempo, infatti, era accaduto che quello che in origine era stato un perfetto rettilineo era diventato un curvilineo, che il livello della strada forse si era alzato di alcune decine di centimetri mentre la larghezza era ancora la stessa data la presenza, in certi punti, delle vecchie macere.
Era invece rimasta immutata nel tempo, con le originali lastre di basalto, solo quella parte della via che, appena fuori città, dalla parte di Aquino, con un’ampia curva supera il dislivello tra l’antico sito dei laghi e quello urbano della città: l’andazzo corrente avrebbe fatto scommettere su una colata di asfalto su ciò che restava dell’antica strada, che comunque si rendeva ancora utile al transito, ma l’intelligenza umana in quel caso superò se stessa e le affiancò una strada moderna.
Appena dopo, invece, da porta San Lorenzo in poi, quello che era stato il decumano di Aquinum gradatamente si adattò alle esigenze del moderno traffico automobilistico “dilatandosi” nel tempo al punto che, laddove un tempo correvano bighe e quadrighe oggi, senza che l’uomo si sia minimamente preoccupato di intervenire, transitano i cosiddetti bisonti della strada.
Ma allora, quando si facevano quelle passeggiate notturne, tutto ciò doveva ancora accadere.
Allora si fantasticava, piuttosto, sul tempo in cui quella antica città, cinta per buona parte da un lago che, seppur non grande, rendeva caratteristico il paesaggio, poteva vantare la presenza di un teatro, di un anfiteatro e di terme con acqua fredda e calda mentre noi dovevamo accontentarci della “sala Giovenale” o dell’“arena del nespolo” e, in casa, l’acqua (fredda) era una recente conquista.
Né potevi evitare di trasporre in quella strada, quando essa era in auge ed era il decumano della città, certe caotiche scene di vita che il concittadino Giovenale aveva tratteggiato da par suo: “Ma c’è una casa d’affitto in Roma che permetta il sonno? Solo ai gran quattrini è permesso dormire. La colpa di questo malanno ce l’hanno soprattutto i carri che vanno su e giù dentro i budelli dei vicoli, e le mandrie, che si fermano e fanno un fragore che toglierebbe il sonno a Druso o a una vacca marina. Il ricco, quando un affare lo chiama, si fa trasportare tra la folla che s’apre davanti a lui, e vola sopra le teste, chiuso dentro la grande lettiga liburna dove può leggere o scrivere o magari dormirci; che infatti le finestre chiuse, in lettiga, fan venir sonno. Comunque puoi star certo che arriverà per primo; a me, pieno di fretta, fa ostacolo l’onda della folla che mi precede; quella che mi segue mi preme, come una falange compatta, alle reni; uno mi pianta un gomito in un fianco, un altro mi colpisce rudemente con una stanga, quello mi sbatte in testa una trave, l’altro una botte. Le gambe s’ingrassano di fango, da ogni parte suole grosse cosi mi pestano i piedi, un militare mi trapassa l’alluce coi suoi chiodi.” (D. G. GIOVENALE, Satire, III, 234-248.)
La cosa, però, che più di tutte inquietava in quelle discussioni notturne era l’allucinante andamento dei confini comunali che, quando erano stati definiti, chi lo aveva fatto non aveva avuto alcun riguardo per l’antica città il cui sito urbano era stato malamente spezzettato fra Aquino e Palazzolo, l’antico nome di Castrocielo.
Del resto, quando ciò era accaduto, il potere stava tutto in collina; la pianura, dal canto suo, non aveva alcun peso contrattuale essendo abitata solo da povera gente che aveva ben altro cui pensare. Cosicché appare ancor più deprimente il comportamento di quei piccoli satrapi la cui azione non potrà non essere correlata alla loro profonda ignoranza e stupidità, due doti che, per sempre, ne caratterizzeranno il ricordo.
Quanto, poi, a certe goliardiche velleità rivendicatrici degli antichi assetti territoriali, penso che esse lascino il tempo che trovano. Tutt’al più potrebbe cominciarsi ad esaminare la possibilità di una unificazione amministrativa tra Aquino e Castrocielo nel nome di Aquinum.
Al momento, tuttavia, ci consola il fatto che certe attese, direi a lungo attese, incominciano finalmente a concretizzarsi e non importa se si tratti dell’Aquinum di Aquino o di quella di Castrocielo.
Ciò che conta a questo punto è Aquinum, questa importante realtà di venti e passa secoli or sono che, palmo a palmo, sta venendo fuori dalla terra sull’assolato pianoro di San Pietro Vetere, dove anche dagli scavi di questa estate appena passata sono emersi risultati al di là delle aspettative.
Cosa della quale ritengo si debba dare atto a chi tutto ciò ha reso possibile: il sig. Plinio Alberto Pascale che, alla sua morte, lasciò nella disponibilità del comune di Castrocielo quel terreno dal quale stanno venendo fuori tante cose interessanti, ed altre sicuramente ne verranno, a confermare la grandezza di Aquinum, semmai qualcuno avesse ancora dei dubbi.

 

 

 

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