Foto: Raffinate tracce di arte musiva dall'antica Aquino
Era la metà dei tanto decantati anni Sessanta e l’Autostrada
del Sole era ormai cosa fatta. Ad Aquino, per il suo passaggio, era stata
sgretolata una bella fetta delle Pentime ed il centro storico era stato separato
dalle ultime piccole case che si allungavano al di sopra dello strapiombo,
separazione poi superata da un ponte che ripristinava la connessione.
Un fatto nuovo che stimolava ancor più le passeggiate
notturne tra le “Crucéla” e le “Pèntema” cui, proprio a seguito di esso, venne
ad aggiungersi un terzo itinerario. Quello con l’area di servizio Casilina,
forse il più stimolante di tutti perché, dopo un lungo tragitto nel buio più
totale, approdavi infine in ambienti dove il neon dominava e che per noi,
abituati alle poche candele delle nostre lampadine, la cui funzione sembrava
più quella di farsi notare che illuminare, costituiva decisamente un passo nel
futuro. A ciò si aggiungeva la possibilità di imbattersi in un mondo del tutto
diverso da quello che allora si era abituati a frequentare e, talvolta, anche
in qualche personaggio importante.
A rendere il tutto ancor più affascinante era il fatto che,
per raggiungere questo mondo per noi avveniristico, per buona parte del
percorso ci servivamo di una strada antica di oltre duemila anni, la via
Latina, laddove essa transita nel centro di quello che era stato l’abitato di Aquinum che di tanto in tanto si
manifestava con qualche reperto alimentando la nostra fantasia e le nostre
chiacchiere anche se allora di certe cose se ne sapeva ben poco o, forse, niente.
Così, se si sapeva della presenza di un anfiteatro nella Aquinum di allora, di sicuro era ignoto
ai più che i progettisti dell’autostrada, seppur con tanto spazio a
disposizione, per consentire il passaggio dell’arteria avevano centrato in
pieno ciò che restava di quell’antica struttura. Ma anche ad averlo saputo, non
erano certo quelli tempi per fare barricate.
Un vero e proprio massacro che si sarebbe poi riproposto sul
finire degli anni Ottanta in occasione dell’ampliamento dell’autostrada quando
si fece finta di prestare una qualche attenzione a ciò che di quella struttura
restava al punto da lasciare quasi a vista la parte di essa che “invade” la
corsia di emergenza sul lato per Roma.
Ed altra attenzione venne ad esso dedicata quando, chi
doveva “proteggerlo”, decretò la distruzione del caratteristico casale che nel
1700 era stato realizzato su uno spicchio dello stesso anfiteatro e che avrebbe
quanto meno preservato nel tempo alcuni ambienti sotterranei.
Insomma, se l’autostrada ci offriva spunti avveniristici,
contestualmente frantumava il nostro passato. Cosa che è accaduta ancora una
decina di anni or sono quando si decise di intervenire sull’area di servizio
Casilina per un suo totale rifacimento e si venne così a scoprire che essa, a
suo tempo, senza ritegno e senza vergogna, era stata addirittura realizzata su
una necropoli
ricca di una settantina di tombe tutte dotate di un consistente corredo e la
cui origine veniva fatta risalire tra il III e il II secolo a. C. A conferirle
particolare prestigio, però, sarebbe stata la scoperta, il pomeriggio del 5
maggio 2005, di un letto funerario in osso di particolare fattura, che avrebbe
avuto grande risonanza addirittura a livello nazionale.
Né può omettersi dal
ricordare che nella medesima circostanza venne anche rasa al suolo la cappella
dedicata a San Tommaso - una delle quattro all’epoca presenti sulla rete
autostradale italiana - inaugurata appena 35 anni prima, il 7 marzo 1970, dal
cardinale Pietro Parente nell’ambito delle iniziative per il VII Centenario
della morte dell’Aquinate.
Ma non era solo l’autostrada a procurarci guai: con la
costruzione della ferrovia per i treni ad alta velocità, infatti, se ne andava
a farsi benedire un’altra buona fetta del passato in un saccheggio rimasto
pressoché anonimo.
Comunque sia, se non c’erano corpi estranei ad interferire,
ci pensavamo da soli a farci del male.
Sempre negli anni Sessanta, infatti, nelle adiacenze del
teatro era stata autorizzata la costruzione di una abitazione mentre, tempo
dopo, per il mattatoio di Aquino, i cui locali ospitano oggi il “museo della
città”, era stato prescelto un sito davvero ideale per lo scopo cui era
destinato posto com’era non lontano dalla chiesetta di San Tommaso e a metà
strada tra la porta di San Lorenzo e la chiesa della Madonna della Libera.
Questa iniziativa, peraltro, fu talmente scandalosa che i
giovani esponenti dell’allora efficientissima O.A.S.U., l’Organizzazione
Aquinate Studenti Universitari, nonostante le non floride condizioni
economiche, non badarono a spese e tappezzarono le mura della cittadina con un
manifesto settanta per cento, che a quei tempi costava un occhio della testa,
in cui, oltre il resto, campeggiava la scritta “Pietà per Aquino”: una
contestazione bella e buona che sconvolse letteralmente le autorità comunali,
nuove a quella forma di protesta.
Quella che percorrevamo nelle nostre passeggiate serali
verso l’area di servizio Casilina se non era proprio la via Latina di un paio
di millenni prima tuttavia ne ricalcava con una certa fedeltà il percorso che
si allungava tra la porta orientale, o di San Lorenzo, e quella occidentale, o
Romana. Col tempo, infatti, era accaduto che quello che in origine era stato un
perfetto rettilineo era diventato un curvilineo, che il livello della strada forse
si era alzato di alcune decine di centimetri mentre la larghezza era ancora la
stessa data la presenza, in certi punti, delle vecchie macere.
Era invece rimasta immutata nel tempo, con le originali
lastre di basalto, solo quella parte della via che, appena fuori città, dalla
parte di Aquino, con un’ampia curva supera il dislivello tra l’antico sito dei
laghi e quello urbano della città: l’andazzo corrente avrebbe fatto scommettere
su una colata di asfalto su ciò che restava dell’antica strada, che comunque si
rendeva ancora utile al transito, ma l’intelligenza umana in quel caso superò
se stessa e le affiancò una strada moderna.
Appena dopo, invece, da porta San Lorenzo in poi, quello che
era stato il decumano di Aquinum gradatamente
si adattò alle esigenze del moderno traffico automobilistico “dilatandosi” nel
tempo al punto che, laddove un tempo correvano bighe e quadrighe oggi, senza
che l’uomo si sia minimamente preoccupato di intervenire, transitano i
cosiddetti bisonti della strada.
Ma allora, quando si facevano quelle passeggiate notturne,
tutto ciò doveva ancora accadere.
Allora si fantasticava, piuttosto, sul tempo in cui quella
antica città, cinta per buona parte da un lago che, seppur non grande, rendeva
caratteristico il paesaggio, poteva vantare la presenza di un teatro, di un
anfiteatro e di terme con acqua fredda e calda mentre noi dovevamo accontentarci
della “sala Giovenale” o dell’“arena del nespolo” e, in casa, l’acqua (fredda)
era una recente conquista.
Né potevi evitare di trasporre in quella strada, quando essa
era in auge ed era il decumano della città, certe caotiche scene di vita che il
concittadino Giovenale aveva tratteggiato da par suo: “Ma c’è una casa
d’affitto in Roma che permetta il sonno? Solo ai gran quattrini è permesso dormire.
La colpa di questo malanno ce l’hanno soprattutto i carri che vanno su e giù
dentro i budelli dei vicoli, e le mandrie, che si fermano e fanno un fragore
che toglierebbe il sonno a Druso o a una vacca marina. Il ricco, quando un
affare lo chiama, si fa trasportare tra la folla che s’apre davanti a lui, e vola
sopra le teste, chiuso dentro la grande lettiga liburna dove può leggere o
scrivere o magari dormirci; che infatti le finestre chiuse, in lettiga, fan
venir sonno. Comunque puoi star certo che arriverà per primo; a me, pieno di
fretta, fa ostacolo l’onda della folla che mi precede; quella che mi segue mi
preme, come una falange compatta, alle reni; uno mi pianta un gomito in un
fianco, un altro mi colpisce rudemente con una stanga, quello mi sbatte in
testa una trave, l’altro una botte. Le gambe s’ingrassano di fango, da ogni
parte suole grosse cosi mi pestano i piedi, un militare mi trapassa l’alluce
coi suoi chiodi.” (D. G. GIOVENALE, Satire,
III, 234-248.)
La cosa, però, che più di tutte inquietava in quelle
discussioni notturne era l’allucinante andamento dei confini comunali che,
quando erano stati definiti, chi lo aveva fatto non aveva avuto alcun riguardo
per l’antica città il cui sito urbano era stato malamente spezzettato fra
Aquino e Palazzolo, l’antico nome di Castrocielo.
Del resto, quando ciò era accaduto, il potere stava tutto in
collina; la pianura, dal canto suo, non aveva alcun peso contrattuale essendo
abitata solo da povera gente che aveva ben altro cui pensare. Cosicché appare
ancor più deprimente il comportamento di quei piccoli satrapi la cui azione non
potrà non essere correlata alla loro profonda ignoranza e stupidità, due doti
che, per sempre, ne caratterizzeranno il ricordo.
Quanto, poi, a certe goliardiche velleità rivendicatrici
degli antichi assetti territoriali, penso che esse lascino il tempo che
trovano. Tutt’al più potrebbe cominciarsi ad esaminare la possibilità di una
unificazione amministrativa tra Aquino e Castrocielo nel nome di Aquinum.
Al momento, tuttavia, ci consola il fatto che certe attese,
direi a lungo attese, incominciano finalmente a concretizzarsi e non importa se
si tratti dell’Aquinum di Aquino o di
quella di Castrocielo.
Ciò che conta a questo punto è Aquinum, questa importante realtà di venti e passa secoli or sono
che, palmo a palmo, sta venendo fuori dalla terra sull’assolato pianoro di San
Pietro Vetere, dove anche dagli scavi di questa estate appena passata sono
emersi risultati al di là delle aspettative.
Cosa della quale ritengo si debba dare atto a chi tutto ciò
ha reso possibile: il sig. Plinio Alberto Pascale che, alla sua morte, lasciò
nella disponibilità del comune di Castrocielo quel terreno dal quale stanno
venendo fuori tante cose interessanti, ed altre sicuramente ne verranno, a confermare
la grandezza di Aquinum, semmai
qualcuno avesse ancora dei dubbi.
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