mercoledì 7 giugno 2017

VIA SAN COSTANZO CINQUANT’ANNI FA di Rita Di Sotto

Chiunque percorra oggi via San Costanzo, la strada che dalla piazzetta dei Conti d’Aquino scende verso l’ingresso del Parco del Vallone, per poi risalire fino alla “fontanina”, incontrerà, se è fortunato, una o due persone. Le famiglie che infatti risiedono in quella via sono poche. La vita vi scorre tranquilla, silenziosa, e difficilmente si riesce a immaginare come un tempo potesse essere diversa.
In quella via, circa cinquant’anni fa, ho trascorso gran parte della mia infanzia, dal momento che i miei nonni paterni vi possedevano una casa che oggi non esiste più.
È ancora vivo nei miei ricordi il trambusto quotidiano esistente in via San Costanzo affollata di gente: gente che lì abitava o arrivava da altre zone di Aquino o dalla campagna, essendo quel borgo ricco di botteghe.
Proprio all’inizio di esso, nella piazzetta dei Conti d’Aquino, vi era la bottega di un fabbro, in cui risuonava il martello che picchiava sul ferro arroventato per dargli forma.
Man mano che si scendeva nella via, si incontravano i venditori di uova e di pollame, il cui verso e battere d’ali producevano un certo frastuono che metteva allegria; il ciabattino, che dalla mattina alla sera era chino sopra il suo tavolo a conficcare chiodi o ad incollare suole.
In quegli anni le scarpe non si buttavano via tanto facilmente: dovevano durare fino a che non era possibile più ripararle. Ragion per cui, davanti alla bottega del ciabattino vi era sempre della gente, per lo più proveniente dalla campagna. In quella stessa bottega, all’occorrenza, si facevano anche riparazioni ai vestiti o addirittura se ne confezionavano di nuovi.
Più giù del ciabattino, vi era la venditrice di sapone e varichina, e nessun negozio sembrava più indovinato del suo, visto che molte donne si recavano ogni giorno a lavare i panni al vicino lavatoio.
Alla fine della discesa di via San Costanzo si trovava il mulino a pietra, che veniva alimentato dalle acque della cascata della “forma”, proprio subito dopo il lavatoio. Anche da una distanza considerevole si poteva sentire il frastuono prodotto dalle macine; e man mano che ci si avvicinava al mulino era difficile farsi ascoltare, perfino alzando la voce.
Vi era quindi la bottega del falegname, davanti alla quale, tutte le mattine, venivano esposti i vari manufatti. Non era raro che appoggiate presso l’uscio vi fossero anche delle casse da morto, quasi a voler invogliare i passanti a comprarle.
Un’altra bottega di fabbro era situata all’inizio della salita che conduceva alla “fontanina”; a metà della salita, poi, vi era un negozietto di generi di prima necessità. Vi si trovava un po’ di tutto: dalla pasta e dallo zucchero, venduti sfusi, agli articoli di cancelleria, tra cui i quaderni scolastici dalla copertina nera e dai fogli bordati di rosso.
E dulcis in fundo, quasi nella porta accanto, per la gioia di noi ragazzi, abitava il venditore di lupini e castagne secche, una vera leccornia a quei tempi in cui ci si accontentava di poco.
Questa è la via San Costanzo che io ricordo: una via piena di vita e di attività, in cui le donne sedevano spesso sull’uscio di casa a rammendare, a ricamare, a svolgere varie mansioni domestiche e quotidiane o semplicemente a chiacchierare tra loro, in cui le porte di casa si spalancavano al mattino per essere chiuse a tarda sera. Ricordo soprattutto i tanti ragazzi che assieme a me giocavano in quella via, correndo su e giù, felici soprattutto di stare in compagnia gli uni degli altri.

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