martedì 18 aprile 2017

LA PIAZZA di Peppe Murro


Non mi era mai piaciuto entrare lì, dove il fiato acido di vino indecente degli avventori si mischiava al fumo delle sigarette “nazionali” e al fritto di cipolla che veniva da una sorta di cucina arrangiata in un angolo; non mi era mai piaciuto, ma c’era la televisione e per noi era un avvenimento poter vedere la partita di calcio e i teleromanzi: almeno sino a quando il padrone non diceva “la televisione costa; che faccio ? spengo?” e allora tutti a ordinare un quarto e una gassosa per far tornare quella sorta di normalità di poveri che sapeva di evasione e di meraviglia.
E non ho mai saputo cosa succedesse al bar dei ricchi: era un angolo privilegiato, dove vedevi gente soddisfatta seduta all’ombra che fumava e rideva, guardando i passanti e spesso accompagnandoli con battute pesanti. Ma era il bar del gelato, quello buono, e per questo era guardato con desiderio e quando ci si entrava c’era un misto di soddisfazione e di senso di vittoria a “sprecare” 10 lire per un gelato.
Ce n’era anche un altro di bar, ma non rientrava nel nostro orizzonte di ragazzi.
Strana geografia della memoria… anche oggi i bar sono per lo più allo stesso posto, anche se ora gli avventori sono figure della modernità: gente che sorseggia drink e pilucca noccioline, mentre scruta con attenzione il passeggio, giovani che siedono a tavoli ingombri di bottiglie di birra o vecchi che occupano stabilmente le stesse sedie ogni giorno, facendosi scivolare sulla pelle il tempo.
E ancora, i ragazzi, al centro della piazza, anche loro padroni, come un tempo noi, di ogni angolo e di ogni voce, ma col pallone firmato e i giroskate a batteria, scivolando eterei dappertutto.
E la partita a scopa o a tressette forse riunisce ancora quattro giocatori ed otto osservatori attenti, quelli che ti spiegano le tue mosse sbagliate o le alternative che avevi, come se fossero loro i campioni del gioco…quella c’è ancora, magari in second’ordine, anche se più spesso trovi gli scacchi, dove chi guarda non ce la fa  a tacere e ti dice cosa fare, e ti dà del cretino mentre afferra il tuo alfiere e lo sposta sulla scacchiera, e lì discussioni infinite con altri campioni che credono di essere Spasskij o Fischer.
E’ cambiata poco la piazza, è ancora la pancia pulsante del mio paese, il luogo principe della socializzazione, dove ancora si discute di donne e politica, di calcio e motori, come se tutto si fosse cristallizzato in un quadro alla Dorian Gray, diverse maschere e stessa natura.
L’eterno ritorno dell’immobile, direbbe il maestro Mimì, e magari ci farebbe un’ultima tirata di fumo tra una risata arrochita e uno sguardo umido di malinconia.   
 

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