venerdì 31 marzo 2017

LE PIGNE PASQUALI di Rita Di Sotto

Della Pasqua della mia infanzia ricordo ancora il profumo fragrante delle pigne appena sfornate: profumo di anice. Non vi era famiglia, ad Aquino, che per la Pasqua non preparasse questo dolce tipico. Ricordo che nella mia il compito di fare l’impasto spettava a mia madre, ma sotto la supervisione di nonna, che di esperienza, in fatto di dolci, ne aveva parecchia. E di esperienza ne occorreva davvero tanta, perché anzitutto era necessario stabilire quando impastarle, le pigne.
Essendo un dolce dalla lievitazione molto lenta, bisognava tener conto del clima, che ogni anno era diverso. Pertanto, se ancora faceva un po’ freddo, la lievitazione richiedeva un tempo maggiore rispetto a quando la temperatura era più alta.
Si procedeva, quindi, con il predisporre gli ingredienti, prima fra tutti il lievito, che andava preparato con dodici ore di anticipo. Si passava, successivamente, all’impasto vero e proprio, servendosi di uova, zucchero, aromi vari, tra cui quello di anice, in forma di semi o liquore.
La cosa più difficile era lavorare energicamente l’impasto battendolo a lungo, in modo che incorporasse più aria. All’interno di una pentola capiente, lo si poneva in una madia o cassapanca, avvolto in una coperta di lana – quasi fosse un neonato – per ripararlo da spifferi.
Cominciava, da questo momento, un rituale che a me sembrava incredibile. A intervalli di qualche ora, nonna e mamma sorvegliavano la lievitazione, e lo facevano aprendo piano lo sportello della madia, a volte sembrava che trattenessero il respiro, tanto stavano attente a non provocare il minimo spostamento d’aria che avrebbe potuto pregiudicare la crescita dell’impasto. Poisollevavano adagio i lembi della coperta, e infine alzavano il coperchio della pentola.
Io non riuscivo a capire che cosa vedessero, e trovavo assai strano che mamma e nonna si abbandonassero a certe discussioni: per esempio se era il caso o meno di accelerare la crescita, mettendo nella madia un recipiente con acqua calda.
Finalmente, quando l’impasto aveva raggiunto il punto ottimale di lievitazione bisognava intavolarlo. In sostanza significava che esso doveva essere preso delicatamente e distribuito in teglie imburrate. Ma non finiva qui! Bisognava ora che le teglie, riempite per metà, fossero messe di nuovo nella madia per la seconda lievitazione.
Aveva inizio lo stesso rituale di prima, e io, come prima, assistevo alle stesse operazioni di mamma e nonna, alle stesse discussioni sui tempi e i modi di cottura delle pigne.
Alla fine, mentre questa avveniva, l’aria si impregnava del buon odore di anice, mentre nonna preparava la glassa che doveva essere spalmata sulla superficie delle pigne appena sfornate, assieme a una buona dose di confettini colorati.
Nel sentire mamma e nonna scambiarsi i loro pareri: “Mi sembrano cotte” o “Dovrebbero stare in forno un po’ di più”, pensavo al giorno di Pasqua, quando quel dolce sarebbe stato gustato.

Nessun commento:

Posta un commento