Maggio
1963
La nonna sapeva che il vecchio
Filidoro, quasi tutte le sere, le rubava le rose dal giardino per infilarle nel
nastro del cappello, tutt’intorno alla cupola, e per ottenere in tal modo un
copricapo variopinto: una “corona
profumata”, com’egli diceva.
La nonna non si arrabbiava per
questo, ma le dispiaceva che il vecchio strappasse le foglie, spezzasse i rami,
cogliesse i boccioli, insomma che devastasse il roseto come un ciclone o peggio
ancora.
Un giorno, non potendone più, decise
di fare la posta a Filidoro per coglierlo sul fatto: voleva cantargliela
chiara, gridargli in faccia il suo disappunto per quello che combinava.
«Mi sentirà,» bofonchiava, «mi
sentirà quel vecchio manigoldo! Lo farò arrossire fino alla punta dei capelli.»
Quando scese la sera, si nascose dietro un
arbusto di alloro e rimase in attesa che il ladro
giungesse. Non dovette aspettare per molto.
Era ancora chiaro abbastanza allorché Filidoro,
cercando di non far rumore, aprì il cancello di ferro del giardino. Si guardò
per un attimo attorno con circospezione poi, a passi lenti, ma decisi, si
diresse verso le rose addossate a un basso muretto di mattoni.
Chissà, era forse convinto che la nonna le
coltivasse apposta per lui!
Tante ne coglieva e tante ne infilava nel nastro
del cappello, che si rigirava più volte tra le mani con aria soddisfatta.
Se una rosa gli pareva sfiorita la sostituiva
con un’altra: una piccola con una grande, una rossa con una bianca, una gialla
con altra ancora.
In terra, proprio ai suoi piedi, c’era come un tappeto di fiori esangui, molti dei
quali miseramente calpestati.
A quella vista la nonna fremeva, sbuffava,
stringeva le mascelle.
Traboccante di collera, fu sul punto di uscire
dal suo nascondiglio quando, vedendo il vecchio andar via col suo copricapo
floreale e un’espressione felice nello sguardo – come mai aveva veduto in quel
“bimbo” aggrinzito di ottant’anni –,
pensò che le rose, in fondo, stavano meglio in testa a Filidoro che sui rami
del suo giardino.
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