“Affetti e pensieri
dell’anima mia…”
La Compagnia esce dalla Madonna della Libera
intonando l’antico canto. Un canto in cui c’è tutta la fede, la devozione,
l’amore che gli aquinati hanno sentito e sentono, di generazione in
generazione, avviandosi in umile pellegrinaggio al Santuario di Canneto.
Chi resta, ascoltando il canto la notte della
partenza, si sente preso da mille indecisioni e cerca di giustificare a se
stesso l’assenza della Compagnia. Assenza che, in quei momenti, ha sapore di
diserzione. E se ha la forza di resistere all’impulso di partire, quel canto,
da richiamo, diventa evocazione. Evocazione di tempi lontani, di momenti, di
volti, di voci.
Ritorna allora alla memoria il primo
pellegrinaggio, cui ha partecipato, e, forse, anche il volto e la voce di chi
per primo gli parlò di Canneto.
Io ricordo mia nonna. Mi parlava di sette
montagne da salire e ridiscendere, di burroni, di cui non si vedeva il fondo;
di un’acqua freddissima, che si doveva attraversare, non so quante volte, per
diventare “comarelle”; dell’anello (o
dell’orecchio) perduto in quell’acqua dalla Vergine e subito disciolto in mille
stelline, che solo i meritevoli potevano ripescare, senza, peraltro, poter
trarle fuori dall’acqua.
Mi raccontava del miracolo fatto dalla Vergine,
quando un tale, non ricordo più chi, dopo anni che non riusciva più a dir
parola, gridò, più forte degli altri l’Evviva
Maria!, con cui la Compagnia salutava e saluta ancora l’apparire del
Santuario. E qui la voce le s’incrinava un poco e gli occhi le si riempivano di
lagrime.
Attraverso le parole di mia nonna ho vissuto il
pellegrinaggio non una volta sola, ma cento volte, e mi sono diventate note le
tappe e le soste della Compagnia.
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