venerdì 22 settembre 2017

LA CHIESA DI VALLI. di Costantino Jadecola


Foto: Decreto n. 9142 per la erezione e dotazione di una coadiutoria perpetua nella nuova chiesa de’ SS. Cuori di Gesù e Maria nella contrada detta Le Valli presso Aquino (Da “Collezione delle Leggi e de’ decreti reali del Regno delle Due Sicilie” dell’anno 1844, numero 351).

Dovette essere una gran bella festa quella svoltasi a contrada Valli la terza domenica di settembre del 1843. Il 23 di quel mese, infatti, il sindaco di Aquino, che a quel tempo era Celestino Bonanni, riferisce al sotto intendente di Sora che “vi fu sparo di mortali, tamburi, zampogne, il sorteggio di due polli ed il giuoco del gallo.” (ASFr. Sottoprefettura di Sora. Comune di Aquino, b. 53). Una gran bella festa, insomma. Con un neo, però: “per la celebrazione di questa festività, non vi è [stato] per parte della polizia alcun permesso” (Idem), che è poi il vero motivo per il quale il sindaco di Aquino si vede costretto a mettere nero su bianco.
Naturalmente il sotto intendente vuol vederci più chiaro e allora, il 13 ottobre, il sindaco Bonanni deve tornare sull’argomento e precisare che, “in riguardo a coloro per parte de’ quali venne celebrata la festa dell’Addolorata nel villaggio le Valli (…), un tale Gioambattista Peppefiacco di Pontecorvo distribuiva la polvere perché si sparasse e che quasi tutti i Vallesi capaci di sparare sparavano: ciò per la parte esegutiva. Non mi è stato poi possibile”, però, precisa il sindaco, “conoscere ad onta dell’alta premura che me ne sono presa chi fossero stati i deputati amministratori della festa che ci occupa” (Idem).
Dispiace il non sapere chi fossero costoro. Ma questa lacuna è ampiamente compensata dalla notizia che all’incirca 170 anni or sono alle Valli di Aquino già si festeggiava la terza domenica di settembre, come ancora oggi, del resto. La curiosità, piuttosto, è un’altra: ma già allora lo spazio antistante la piccola chiesa era il punto focale dei festeggiamenti? In parole povere, la chiesa c’era già, o no?
Tutto lascia propendere per una risposta affermativa se dobbiamo dar credito alle doglianze del parroco del tempo che, come avremo modo di vedere più avanti, doveva chiamarsi don Claudio Pagliuca, il quale affermava che nel 1867 la chiesa era “cadente”. Lo si legge in una lettera con la quale il 18 luglio di quell’anno il facente funzioni da sindaco di Aquino Carlo Spezia ne riferiva al sotto intendente di Sora precisando che lo stesso parroco “da più anni faceva conoscere un tale inconveniente e fattosi carico i superiori di quel tempo disponevano sull’amministrazione diocesana prelevarsi la somma di ducati 237.20 riputati necessari giusta la perizia e sovramonte detta somma fu accettata” (Idem). Accadde, però, che la somma stanziata non venne mai erogata cosicché la chiesa non solo non fu restaurata ma se ne accrebbe il guasto al punto di non essere “quasi non più atta al culto” (Idem).
Ma, se nel 1867 l’edificio era piuttosto malridotto, che anzianità poteva avere? Naturalmente non è facile rispondere ad una domanda del genere. Sta di fatto che Pasquale Cayro nella sua Storia sacra e profana di Aquino e sua diocesi (Napoli. Vol. I. 1808, vol. II. 1811), pubblicata tra la fine del primo decennio del diciannovesimo secolo e l’inizio del successivo, ad esso non fa cenno alcuno segno evidente che o la chiesa ancora non esisteva o anche, considerato che contrada Valli è in una zona interna, che ne ignorasse l’esistenza.
Caratterizzata da dolci declivi ancora per buona parte ricoperti da quei boschi che un tempo dovevano caratterizzare l’intero territorio, contrada Valli, piuttosto decentrata rispetto all’abitato di Aquino (direzione sud-est), è la località che ospitò alcune delle famiglie che, lasciata la valle di Comino, vennero a cercare fortuna in quella del Liri: tra le altre, quelle dei Fusco e dei Morelli, cognomi ancora presenti a Valli, provenienti da Casalattico (Rocco BONANNI, Ricerche per la Storia di Aquino. Alatri, 1922, p. 31).
Quando ci fu questa immigrazione doveva essere la seconda metà del diciottesimo secolo, anche perché questi cognomi non compaiono né nello “Stato delle anime” del 1749 né nel catasto onciario di Aquino del 1752 (Costantino JADECOLA, Il paese dei “bracciali”. Cassino, 2007), cosicché si ha motivo di supporre che la costruzione della chiesa potrebbe essere collocata, per grandi linee, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento e ciò per favorire le esigenze spirituali degli abitanti del luogo, che intanto si erano sicuramente accresciuti, cui sarebbe risultato molto difficile spostarsi sino ad Aquino da cui Valli dista alcuni chilometri.
Una conferma in tal senso viene dalla tradizione orale alla quale certamente fecero ricorso Anna Maria Massaroni e Maria Grazia Prata, all’epoca alunne delle scuole elementari di Aquino, che sollecitate dall’insegnante Tommaso Di Nallo, scrissero che, perché quegli immigrati “potessero pacificamente dedicarsi alla bonifica del luogo e vivervi in moralità, il Borbone vi fece anche erigere una linda chiesetta dedicata alla Madonna Addolorata. La speranza del monarca non andò delusa; infatti la colonia vi prosperò tanto bene che l’inospite luogo fu presto volto a fertile coltura” (Aquino nostra. Anno scolastico 76-77, p. 13).
Né, circa la sua edificazione, viene in soccorso il decreto con il quale il 31 dicembre 1844 Ferdinando II di Borbone permette al “Vescovo di Aquino, Sora e Pontecorvo di ergere una coadiutoria perpetua nella nuova Chiesa di SS.mi Cuori di Gesù e di Maria nella contrada detta le Valli di Aquino” (ASFr. Sottoprefettura di Sora. Comune di Aquino, b. 52.): è mai possibile, infatti, che una struttura che nel 1844 viene definita “nuova”, 23 anni più tardi, sia già “cadente”, e da tempo?
Se permane dunque il mistero sull’epoca della sua origine, un altro riguarda invece l’intitolazione di questa chiesa che, come si è detto, viene riferita sia alla Madonna Addolorata che ai SS.mi Cuori di Gesù e di Maria. Né esso viene risolto dalle fonti ufficiali se sul sito internet della Diocesi essa viene indicata come SS. Cuori alle Valli.
Ma torniamo al decreto reale. Con esso, Ferdinando II consente anche “che la coadiutoria medesima sia dotata di due vacandi benefizi semplici di nostro regio padronato denominato l’uno di S. Rocco e S. Spirito in Terelle e l’altro della Madonna del Buoncammino in Roccaguglielma a condizione, però”, precisa il re, “che il diritto di nomina rimanga in perpetuo riservato a Noi ed ai nostri Successori e che sebbene la enunciata coadiutoria sia nella dipendenza della matrice Chiesa di Aquino, non possa però quell’Arciprete-Curato ritenere sulla popolazione addetta alla stessa coadiutoria alcun diritto sia di decima, sia di Stola (nell’uso ecclesiastico anteriore al Concilio Vaticano II erano gli emolumenti che i parroci avevano diritto di percepire dai fedeli, secondo gli importi stabiliti dalla consuetudine o da apposita tariffa diocesana in occasione di funzioni religiose, riguardante specificamente i singoli), o di altra prestazione alcuna ma tutte le prestazioni ed i diritti competenti al Parroco sulle anime della coadiutoria” (ASFr, cit., b. 52).
Ma ci si attenne sempre a quel diritto di nomina che Ferdinando riserva a sé stesso ed ai suoi successori? Evidentemente no se qualcuno solleva il caso del già ricordato don Claudio Pagliuca che da almeno una decina di anni, cioè dal 1860, si trova investito della titolarità di quella Coadiutoria. Ci si chiede: si trattò di una investitura sovrana o fu il Vescovo del tempo a deciderla? A porsi l’interrogativo è addirittura il ministero di Grazia e Giustizia, Affari di culto, che evidentemente su sollecitazione di qualcuno, il 6 luglio 1870 si attiva per andare a fondo della questione. A quale conclusione giunga il ministero non è dato sapere ma può supporsi che quella nomina sia stata d’iniziativa vescovile considerato che al tempo in cui essa avvenne il vescovo della diocesi di Aquino, Sora e Pontecorvo era il molto chiacchierato vescovo mons. Giuseppe Montieri (Trevico (Av) 18 novembre 1798 - Roma, 12 novembre 1862) il quale, oltre a vantare una grande amicizia con re Ferdinando, era un convinto assertore della causa borbonica.
Non ci sono problemi, al contrario, nell’identificare i due “benefizi semplici di Regio Patronato” di cui parla il re nel suo decreto. Lo si apprende dal verbale redatto in Aquino il 15 settembre 1904 con il quale l’avv. Giovanni Iadecola, Regio Subeconomo dei Benefizi Vacanti, consegna i beni appartenenti alla parrocchia della SS. Addolorata al sacerdote Francesco Morelli nominato parroco della stessa, questo sì “con Real Decreto del 27 novembre 1902 e con successiva bolla vescovile del 9 gennaio 1903” e da quello della restituzione degli stessi beni a seguito della scomparsa (15 marzo 1901) di don Salvatore Di Marco, già appartenente ai “soppressi Riformati di Palermo” (Frati Minori Conventuali di Sicilia), che aveva retto quella chiesa dal primo luglio 1897.
I “benefizi” di S. Rocco e S. Spirito sono costituiti da terreni tutti in territorio di Terelle. Essi si trovano in località Fossato, Cardito, Scarpella, Vallecupa, Vurena, Colle S. Pietro, Rotundo, Ceraselle, Colle Fozio, Le Cese e Noce Rezzella e sono tenuti tutti in fitto da Vincenzo Leone fu Celestino e da Pietro Azzoli fu Angelantonio, entrambi del luogo, “per annue lire centoquaranta con contratto verbale”.
Quanto, invece, ai fondi della Madonna del Buoncammino, essi sono in territorio di Roccaguglielma (poi Esperia). Quelli di località Rava Dorata, Canale Imperatore, Cerqua S. Antonio o Colomba e Vigne Doriche o Tore o Acquaviva “sono fittati verbalmente per annue lire quaranta a Luigi Villani di Francesco”; quelli di località Muro Tagliato, S. Croce o Castagneto, Noce del Vivo o Coppi, Fossa dei Fiocchi, Lago, Casalino del Rosario, Marroni, Mazzoncelli, sono tenuti in fitto da Filippo Ciavolella fu Francesco; il fondo detto Starza di Monticelli è tenuto a colonia parziaria da Ambrogio Cerrito ugualmente a quello che Vincenzo Ciaiola tiene in località Campo o Campogrande. Basilio Grossi, infine, corrisponde un canone annuo di lire tre “sul fondo olivetato S. Francesco” (ASFr, cit., b. 52).
Al di là di questi “benefizi” e di riferimenti ad alcuni documenti, nel verbale in questione si parla, ovviamente, della chiesa e dell’annessa sagrestia al cui interno, si precisa, si trovavano un tavolino, una pianeta, un calice di rame cedro, un secchiello di rame, otto candelabri di legno in pessimo stato, un crocefisso per altare, tre tovaglie in cattivo stato, una custodia, un camice, una statua dell’Addolorata in carta pesta ed una della Concezione in cattivo stato ed una piccola campana.
Tutto qui. Che per una chiesa come quella di contrada Valli, della quale sin qui si sapeva poco o niente, è, comunque, molto più di qualcosa.
 
 
 

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