Ci sono i
potenti, ricchi di prede e di sangue, grassi tronfi e arroganti come chiunque
abbia il potere e goda della sopraffazione… stanno lì, seduti in attesa
dell’ossequio e dell’inchino, pronti alla derisione ed allo sfregio, sempre
inclini a colpire e ferire. Conoscono bene la natura umana e col bastone
governano il gregge.
Poi ci
sono gli affamati, quelli che sognano di essere eroi e di arrivare al cielo
della gloria o più semplicemente di sostituire i potenti… si inebriano di
battaglie e di vittorie, poco importa di quante morti sia disseminata la loro
carriera, su quanti cadaveri di amici o nemici debbano passare. Vogliono il
potere e quest’ansia è il loro vero e unico blasone, la sola ragione della
vita.
Ci sono,
infine, quelli che non contano, docile umanità a disposizione del consumo degli
altri, pronti a servire o a farsi macellare da guerra e fatiche… purché il
padrone di turno getti loro ogni tanto un avanzo, finga un mezzo favore,
accenni la promozione di un mezzo sorriso.
Ma la
figura più alta e più rappresentativa resta sempre lui: Tersite, vero Greco tra
i Greci, immagine fulgida di ogni loro vizio. Sempre disponibile all’ossequio
fino a prostrarsi, purché si veda che è in compagnia di chi conta, si esibisce
in oracoli e dotte citazioni ripetendo Nestore e Calcante, sperando di
superarli; vile impareggiabile che si nasconde in ogni battaglia pur avendo
ricchezza di consigli per ogni guerriero e pronto ad attribuirsi, ma con modestia,
ogni vittoria; consolatore partecipe di ogni pena, soprattutto con ancelle e
nipoti sopra il loro vuoto talamo.
È ricco di
parole, il buon Tersite, da quelle sussurrate alle fanciulle abbandonate a
quelle declamate nei consessi ad esaltazione dei suoi protettori, sempre pronto
a mostrarsi, sempre pronto a defilarsi. Ha il coraggio della viltà e
l’ipocrisia delle anime feroci: prodigo come nessuno ad insinuare e
consigliare, e sempre pronto a celarsi nell’ombra. Come dice il poeta, ha
l’anima deforme come il corpo, è la mano che spinge la mano col pugnale, sempre
nascosta, sempre innocente e nobile davanti al pubblico. Questo teatrante…
Un colpo di tosse spezzò la voce rauca, mentre
le dita si allargavano facendo cadere il mozzicone dell’eterna sigaretta. Come
se si accorgesse solo ora di aver parlato troppo fece un largo respiro:
Sì, il
paese è come il campo dei Greci a Troia. Il paese, questo paese.
Un altro colpo di tosse, più violento.
Ci guardò col suo mezzo sorriso intriso di
ironia e di una distaccata rassegnazione.
Io guardavo le sue dita con le unghie abbrunite
dal fumo e mi chiedevo quanto doveva conoscere la vita e le persone per essere
così disincantato e amaro.
Beh,
uagliù, mo’ iatevenne che ho da fare… si accomodò sulla sedia, accavallò le gambe e
chiuse gli occhi di fronte all’ultimo sole.
“Ciao,
Mimì… ciao maestro Mimì…”
Devo dire, Peppe, che il tuo racconto sul maestro Mimì, specie nel finale, è davvero commovente. Sicuramente non potrai che conservare di lui un ricordo vivo, palpitante.
RispondiEliminaPaolo