giovedì 18 maggio 2017

LE ZAMPOGNE di Vincenzo Pelagalli

                                          (Lo zampognaro: dipinto a olio di Paolo Secondini)
 
Nessuno strumento, nessun suono, nessun altro personaggio riesce a darci il senso del Natale meglio delle zampogne e degli zampognari.
Essi, da secoli, sono assurti a simbolo del gioioso periodo natalizio perché il loro suono, la loro nenia, più di ogni altra cosa, sa aprirci il cuore alla bontà.
Sembra strano, ma, almeno per la prima volta, le udiamo di notte, mentre noi dormiamo, e ci sembra che quel suono venga da molto lontano, quasi da un altro mondo; ed è proprio così, perché ci richiamano dal mondo inconscio del sonno.
In principio, potremmo trovare quel suono un po’ fastidioso, perché disturba, non poco, il nostro sonno, ma subito dopo scompare ogni fastidio, ogni risentimento e ci si abbandona a quel primo segno del Natale che si avvicina.
Torna allora alla mente L’udii tra il sonno le ciaramelle, che i maestri ci insegnarono sui banche delle elementari e quel verso, unito a quel suono, diventa l’abbrivo che ci riporta indietro nel tempo, a quando eravamo bambini: ci ricollega a quel tesoro di volti, di voci e di momenti che non ci sono più, che appartengono al nostro essere stati e che la zampogna, ascoltata nella notte, ha momentaneamente riportati alla luce del nostro presente; quel suono ci ha riportato alla nostra infanzia, triste o lieta, quale che essa sia stata, ma sempre tanto bella nel ricordo, e ci fa ritrovare il cuore, il candore, l’innocenza di allora.
Tra i fatti e gli episodi che quel suono ha richiamato alla mente ci sono, forse, i litigi con i nostri fratelli per accaparrarsi il privilegio di accendere e reggere il cero, mentre le zampogne suonavano la novena, e cento altre cosucce, di cui allora si piangeva o si andava fieri, ma di cui oggi si ride.
Io ricordo mio nonno, dai folti baffi grigi, burbero e brontolone, ma in fondo in fondo buon cristiano, andare in bestia perché si era accorto che il pifferaio, non conoscendo bene le parole della sua canzone, le biascicava a bassa voce: e gli diceva che non era quello il modo di agire, che era mancanza di devozione bella e buona, che con le cose sacre non si doveva scherzare e cento altre cose per un buon quarto d’ora; ma poi offriva allo spaventato pifferaio e al suo compagno una buona tazza di caffè, spegneva il cero, acceso per devozione, si calcava in testa il suo cappello stinto e sporco di calce, si avvolgeva nella mantellina e via al lavoro.
Con altri nomi, con altri atteggiamenti, con altre parole, questo è avvenuto un po’ per tutti, perché tutti abbiamo avuto il nonno forse un po’ burbero e brontolone, ma in fondo in fondo buon cristiano.

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