lunedì 19 giugno 2017

GLIU ZINZERE di Camillo Marino

Il 2 febbraio 1956, giorno della Candelora, fu una giornata indimenticabile, specialmente per i ragazzi di allora.
Eravamo a scuola quando cominciò a cadere una neve fitta e copiosa. Fu l’inizio d’una nevicata senza precedenti, che durò circa un mese. La neve caduta raggiunse una misura considerevole, prossima al metro.
Erano altri tempi! Il benessere d’oggi, malgrado il momento di congiuntura, era allora una meta ben lontana, difficile da raggiungere.
Le famiglie più fortunate si scaldavano al fuoco del camino a legna. Molti, invece, facevano ricorso al modesto braciere. Oggi il braciere è diventato un oggetto decorativo: lo si vede sovente, nelle case, adibito a fioriera.
Come pure è fuori uso lo scaldaletto, oggetto divenuto anacronistico, e anch’esso destinato, per civetteria, ad abbellire le abitazioni.
Ma torniamo alla memorabile nevicata del ’56.  Le scuole rimasero chiuse per molti giorni. Noi ragazzi il freddo, quasi, non lo sentivamo.
L’appuntamento quotidiano era fissato in piazza o nelle strade più note e facilmente transitabili del paese, per darci battaglia con le palle di neve.
Accadeva di frequente che per scaldarci le mani facevamo ricorso agliu zinzere.
Ma che cos’era gliu zinzere? Con questo termine dialettale solevamo indicare l’incensiere, ovvero quell’oggetto in uso nelle chiese, durante lo svolgimento di messe o altre funzioni religiose, dentro il quale bruciava l’incenso necessario ai riti medesimi. Più precisamente si tratta di un piccolo recipiente metallico a forma di coppa o calice con coperchio legato a delle catenelle che lo fanno muovere nel momento in cui il celebrante sparge l’incenso. Io, come molti miei coetanei, avevo appreso il modo assai originale di scaldare le mani dalle generazioni di ragazzi che ci avevano preceduto.
Un semplice barattolo di quelli che conservano, ad esempio, i pelati o i fagioli, qualche foro sul fondo o sulle pareti dello stesso, un filo di ferro o spago usato per dare il movimento necessario a tener vivo il fuoco sottratto a qualche braciere o camino.
Si costruiva così gliu zinzere! Era un efficace, ingenuo espediente per proteggerci le mani dal freddo pungente di quel terribile inverno. Intanto, giorno dopo giorno, si aggiungeva neve ad altra neve. Un paesaggio da fiaba, quasi irreale, ci accompagnò per lunghissimo tempo.
Non di rado accadeva dare una mano ai grandi: spalare la neve vicino agli usci delle case, o alleggerire i tetti che si erano appesantiti a dismisura e destavano qualche preoccupazione.
Quello che ad altri poteva sembrare un immane fatica, a noi ragazzi pareva un fantastico gioco, un modo non poco entusiasmante per fare gruppo e divertirci spensieratamente. Ignoravamo totalmente la disastrosa situazione di molte persone che, non potendo svolgere la loro abituale attività di lavoro, non percepivano più il salario, oppure di quelli che, lavorando la terra, erano costretti a rinunciare alle colture, alle loro consuete produzioni.
Non potevamo essere coscienti di tanta precarietà. Come si poteva esserlo a poco più di dieci anni di età? Ma, oggettivamente, la situazione, con il passare dei giorni, con nuove nevicate, era divenuta pesante, quasi insopportabile.
Nella mia memoria si sono alquanto sbiaditi o del tutto cancellati altri momenti di quelle giornate vissute tanto intensamente, con fanciullesca allegria ma con l’angoscia e la preoccupazione di tante persone adulte. IL sole portò via la neve. Le braccia di molti ripresero le attività di sempre. Ritornò finalmente l’ottimismo e gli zinzere sparirono… almeno fino all’inverno seguente.

 

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