sabato 18 marzo 2017

SANTA LUCIA di Peppe Murro



C'era l'andirivieni indistinto delle voci, il trillo acuto dei giochi dei bimbi tra la folla.
C'era il tappeto greve di note di una banda di paese e il puzzo rancido di vino annacquato, il crocchiare di castagne e il sale del lupino.
E c'era la risata boriosa dei ricchi e il loro grasso sfottò, in alto, in disparte sull'unico marciapiede, a sorvegliare lo sguardo ossequioso dei passanti.
La piazza era piena, il palco della musica come una chioccia raccoglieva la gente, e i bambini mimavano il tamburo, e il trombone attirava il sorriso col suo grasso d'ottone.
E c'era la morte, lì, sotto gli sguardi di sfuggita, e l'odio sopito e il rancore pagato e la voglia dei servi di servire il padrone.
Quel giorno c'era la rabbia cieca dei mazzieri, c'era l'ordine diseguale del Novecento.
C'era una banda e la musica e la voglia di divertirsi e le castagne e il vino annacquato che oscurava la mente e sfamava la rabbia e la paura.
E c'era la morte, silenziosa, e cieca, e cattiva come ogni morte senza ragioni.
E le grida, e il dolore, e la percezione confusa di un'ingiustizia più grande in mezzo a quella degli uomini.
Era il giorno di Santa Lucia, in piazza.
Lì, dove oggi abita la memoria breve di clacson ed happy hour. 

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