C'era l'andirivieni indistinto
delle voci, il trillo acuto dei giochi dei bimbi tra la folla.
C'era il tappeto greve di
note di una banda di paese e il puzzo rancido di vino annacquato, il crocchiare
di castagne e il sale del lupino.
E c'era la risata boriosa
dei ricchi e il loro grasso sfottò, in alto, in disparte sull'unico
marciapiede, a sorvegliare lo sguardo ossequioso dei passanti.
La piazza era piena, il
palco della musica come una chioccia raccoglieva la gente, e i bambini mimavano
il tamburo, e il trombone attirava il sorriso col suo grasso d'ottone.
E c'era la morte, lì, sotto
gli sguardi di sfuggita, e l'odio sopito e il rancore pagato e la voglia dei
servi di servire il padrone.
Quel giorno c'era la rabbia
cieca dei mazzieri, c'era l'ordine diseguale del Novecento.
C'era una banda e la musica
e la voglia di divertirsi e le castagne e il vino annacquato che oscurava la
mente e sfamava la rabbia e la paura.
E c'era la morte,
silenziosa, e cieca, e cattiva come ogni morte senza ragioni.
E le grida, e il dolore, e
la percezione confusa di un'ingiustizia più grande in mezzo a quella degli
uomini.
Era il giorno di Santa Lucia,
in piazza.
Lì, dove oggi abita la
memoria breve di clacson ed happy hour.
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