giovedì 20 aprile 2017

GIOVANI VITE di Stefano Iadecola

In ricordo di Florio Franchini
Non dovrebbe accadere, ma purtroppo accade. Giovani vite spezzate improvvisamente. Momenti in cui ci si ferma a riflettere sull’inesorabilità del destino, sulla precarietà dell’esistenza umana e ci si abbandona al ricordo intimo e personale di quei cari e sfortunati amici prematuramente scomparsi. In quei casi mi chiedo spesso “quand’è che l’ho visto l’ultima volta? Quand’è stato che ci siamo incontrati? Un saluto veloce, un cenno con la testa, due chiacchiere di circostanza?… ma quando?”.
Ricordo l’ultimo scambio di saluti con Angelo Capraro, sempre sorridente, davanti ad una tazzina di caffè in un bar della piazza del paese. Mi trovavo proprio in quello stesso bar quando, tempo dopo, appresi di quello sciagurato schianto mortale sulla superstrada, all’altezza di Sant’Elia Fiumerapido. Ricordo inoltre un rapido saluto ad un altro amico, Giovanni Cerasi. Era una sera in piazza. Passeggiava con le mani in tasca e mi diede la sensazione di essere molto maturato rispetto ai tempi delle scuole medie. Ancora un incidente d’auto, questo in zona Fiat. E poi ricordo con affetto Florio Franchini e con lui una fanciullezza spensierata che non c’è più.
Eravamo tutti del 1979. Tutti compagni nella scuola del paese, al tempo delle medie. Con Florio feci subito amicizia, una rarità per il mio carattere schivo ed introverso. Al contrario Florio era un burlone, che amava coinvolgere le persone attorno a lui. Marchingegnava scherzi di ogni tipo e spesso anche di cattivo gusto, tant’è che sovente era il solo a divertirsi. E la sua risata era riconoscibilissima: fragorosa, rumorosa e contagiosa. La sua stessa figura era inconfondibile. Lo ricordo, già intorno ai 12 anni circa di età, avvicinarsi agevolmente al metro e ottanta di altezza e superare i 90 chili di peso, ma con l’agilità di un ragazzino, quale era in realtà. In assoluto la sua mole, il torace prominente, le ampie spalle e il viso tondo e pieno, erano un marchio identificativo caratteristico. Se si avvicinava, “faceva ombra”. Tuttavia bastava guardarlo negli occhi per capire che non avrebbe fatto del male ad una mosca.
Dell’amico Florio il ricordo più bello che conservo fu di quel giorno in cui pianificammo assieme il primo “filone”. Marinammo la scuola, insomma, vagando per il paese senza meta. Non fu bello il gesto, ovviamente, né l’idea di premeditare una cosa così stupida. Il bello di quella circostanza è che adesso, a distanza di oltre 20 anni, esso costituisce il più nitido ricordo che ho di un amico scomparso.
Trascorremmo quella una mattinata “galeotta” su un’altalena nei pressi delle Case Valli a cantare “attenti al lupo” di Dalla, per vedere se conoscevamo tutte le parole. Ogni tanto Florio diventava serio, raccomandandosi con me, affinché non dicessi niente di un’avventura così “trasgressiva” (era così che la vedevamo). Tuttavia filò tutto liscio, almeno quella fu la prima impressione che ebbi quando feci ritorno a casa. La cosa incredibile, della quale rido ogni volta che ci penso, è che, mentre io riuscii a tenere il nostro segreto, Florio cedette subito. Suo padre Pasquale, persona distinta e oggi un amico, lo “colse in castagna” praticamente subito e, almeno dal racconto desolato che mi fece Florio stesso, lo “spinse contro il muro costringendolo a vuotare il sacco”. Ancora oggi non riesco ad immaginare la scena di quel ragazzone sbattuto come uno straccio. Fatto sta che Florio confessò di aver avuto un “complice” nel “fattaccio” e fece il mio nome. Pasquale chiamò a casa per avvisare i miei, con tutte le conseguenze che si possono immaginare. Eppure quell’episodio non glielo feci pesare più di tanto. Forse inconsciamente temevo di perdere un amico se gli avessi rinfacciato quell’episodio di “alto tradimento”.
Gli anni delle medie, comunque, finirono e ognuno andò per la sua strada. Ci perdemmo di vista. Era una cosa che forse sapevamo sarebbe accaduta prima o poi. Ricordo che lo rividi alcuni anni dopo fuori del locale in cui la mia classe aveva organizzato e stava festeggiando il Mak P 100 del liceo. Era molto cambiato, dimagrito, portava i capelli lunghi e la sua crescita in qualche modo aveva avuto un rallentamento, sebbene la stazza fosse comunque “importante”. Ci salutammo, senza troppi entusiasmi a dire il vero. Mi chiese di aiutarlo ad entrare, per prendere parte alla festa come “imbucato”… non ricordo altro.
Qualche tempo dopo seppi della sua morte. Qualcuno gli tagliò la strada mentre guidava la sua vespa. Un altro tragico incidente. Una giovane vita spezzata…. ancora.

Nessun commento:

Posta un commento