mercoledì 3 maggio 2017

IL CONTE PAGLIAI di Tommaso Di Bramgo


La contessa Rosa Mazzei Serponi Franceschi decise di abbandonare Caserta per trasferirsi insieme a Fiorenza, la sua unica figlia, nella contrada Valli, ad Aquino, nel 1848. Suo marito Raniero, ufficiale dell’esercito borbonico, era morto durante i moti scoppiati a Palermo il 12 gennaio e la cosa le aveva procurato un’impressione tanto grande da spingerla a far vita di campagna, al riparo dai marosi della storia. La contrada Valli era infatti un grazioso fazzoletto di terra disteso poco fuori dal centro abitato di Aquino, a metà strada tra Napoli e Roma: luogo ideale per vivere lontani dagli impeti rivoluzionari di qualche liberale dalla testa fumante. Così la contessa comprò quasi tutto il territorio della contrada, vi fece costruire una villa e due case coloniche e lì visse in sostanziale tranquillità per il resto dei suoi giorni. 
Un giorno, però, nelle Valli si stabilirono anche i Pagliai, una famiglia di commercianti e contadini venuti da Salerno per coltivare terre e vendere frutta e verdura tra Aquino e Pontecorvo. Dalle loro parti, dicevano, la concorrenza dei cilentani si faceva ogni giorno più difficile da reggere e a fine mese i soldi in cassa erano sempre meno. La cosa, ovviamente, non turbò la contessa, che anzi ebbe modo di conoscere i nuovi arrivati e di stimarli persone dabbene per quanto, forse, un po’ ruvide nei modi. Col passare del tempo, però, questi nuovi arrivati si sarebbero dimostrati in grado di cambiare parecchie cose in quella terra. 
Accadde infatti che un giorno Rocco Pagliai, il maggiore dei tredici figli di quella famiglia, si presentasse a casa della contessa per chiedere la mano di Fiorenza. Sulle prime la nobildonna riuscì a stento a trattenere un sorriso – come avrebbe mai potuto un ragazzo certo ammodo ma, in ogni caso, non del suo rango sposare la sua bambina? –, ma l’insistenza del giovane la costrinse a cercare una via diplomatica per risolvere l’impiccio.
«Vi ringrazio – disse – caro Rocco, della cortesia con cui vi appropinquate al cospetto mio e di mia figlia: debbo dire che è merce rara, oggigiorno. Siete un bravo ragazzo e un bel giovane, figlio di brava gente, ma non posso concedervi con troppa facilità la mano di Fiorenza».
Rocco, che dal canto suo aveva capito solo di essere un bravo ragazzo e di non poter sposare la giovane, replicò con un garbo che non riusciva a mascherare un po’ di agitazione: «Mi perdonerà Madama, non vi voglio mancare di rispetto, però se sono un bravo giovane che mi manca per sposare vostra figlia? Ci vedete meglio un manigoldo vicino a lei?»
La contessa Mazzei si aspettava questa reazione e rispose: «State tranquillo Rocco. Non ho detto che non voglio che voi sposiate mia figlia. Al contrario sarei molto felice di avere per genero un bravo ragazzo come voi. Prima di darvi il mio assenso, però, devo verificare lo stato delle vostre sostanze», e, dopo una breve pausa, aggiunse: «Di voi ho grande stima, ma Fiorenza è l’unica figlia che ho. Devo essere sicura che suo marito la prenda perché ama lei e non perché spera di appropriarsi delle terre che erediterà».
Rocco Pagliai ascoltò le parole della contessa con la fronte leggermente aggrottata, cercando con una certa fatica di non farsi sfuggire il senso di nessuna delle parole da lei pronunciate, e per essere sicuro di non dire sciocchezze chiese: «Quindi, Madama, mi state dicendo che volete sapere quanta roba abbiamo noi Pagliai?». «Sì», replicò secca e trionfante la Mazzei, sicura com’era che mai e poi mai quei commercianti avrebbero potuto competere con lei in materia di proprietà e possedimenti.
«Ah, e tutto questo è il problema?», replicò Rocco distendendo i lineamenti del viso e alzando leggermente il braccio destro con il palmo della mano rivolto verso l’alto: «E se è tutto qui il problema non c’è! Noi Pagliai di roba ne abbiamo tanta, ma talmente tanta che ci possiamo riempire le Valli. Solo, ecco, per vederla dovrà venire a Salerno con noi, perché ci siamo trasferiti da poco e il grosso è rimasto lì. La possiamo invitare a pranzo per il mese prossimo!».
La contessa, sorpresa, non poté far altro che accettare la proposta del ragazzo e un mese dopo, guardando la cantina dei Pagliai a Salerno, rimase con la bocca aperta. Davanti agli occhi, infatti, ebbe un mare di botti piene zeppe di grano, tanto che pensò che forse, a conti fatti, quei commercianti finivano per essere addirittura più ricchi di lei. Quel che la nobildonna ignorava è che quei recipienti erano stati riempiti solo in parte di grano, mentre il grosso conteneva vecchie erbacce, foglie e piccoli rami, e che i Pagliai avevano architettato tutto questo per imparentarsi con la nobiltà e mettere le mani sulle sostanze.  
Così la Mazzei diede il suo assenso al matrimonio di Rocco e Fiorenza, i due si sposarono e, poco dopo, l’inganno venne rivelato. Ciononostante i due sposi vissero felici per il resto dei loro giorni, perché oltre che alla nobiltà e alle sostanze Rocco teneva alla sua giovane sposa, dalla quale ebbe tre bei figli e grazie alla quale divenne il Conte Pagliai.

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