giovedì 27 aprile 2017

R di Peppe Murro

La linea del collo della camicia era un misto indecifrabile di stoffa consumata e di unto stagionato di sudore; i polsini arrotolati sul braccio nascondevano quasi pudicamente la loro distanza dall’acqua e gli strappi della povertà: a guardare l’insieme non si sarebbe davvero potuto affermare che probabilmente un tempo quella camicia era stata bianca.
Eppure c’era qualcosa di indecifrabile che ti impediva la repulsa e rendeva gradevole quella figura: una voce calma e garbatamente roca accompagnava i gesti alati del discorso, appena spezzata da qualche picco di risata. E guardavo i suoi capelli arruffati che per pettine forse avevano conosciuto solo le dita, guardavo il suo viso, dove lo scalpello del tempo aveva scavato solchi di fatica e di miseria, quasi per monito ed insegnamento.
Con tono semiserio parlava dei lavori fatti, della gente incontrata, delle sue bevute; parlava con un pudore che non gli riconoscevo del suo privato, e di come si viveva, un tempo, in quella zona del paese, dove la vecchia venditrice di uova ogni tanto gliene regalava uno, dove lo scalpellino si faceva trovare a sera sulla porta di casa con due bicchieri e un fiasco di vino, dove la famiglia di zingari lo invitava a mangiare baccalà e patate.
Parlava pure di quelli della piazza, sempre pronti allo sfottò, sempre in agguato per farlo ubriacare, sapendo che anche un solo bicchiere era sufficiente.
Io guardavo i suoi occhi stagliarsi sul viso rugoso, attenti come chi ha visto tanto, rassegnati e malinconici come chi ha conosciuto la vita e i suoi artigli; pensavo alla felicità di un disegnatore accorto a poter riprodurre quei solchi, alla sottile sapienza delle rughe attorno alle labbra, alle fosse delle guance, alla fronte scavata.
E guardavo le sue mani disegnare nell’aria simboli e situazioni, accompagnare il discorso esaltando le parole: le vedevo ora poggiarsi sul grembo quasi stanche, magre, con le vene in evidenza e le unghie sporche, ora alzarsi in volo e lisciare la barba incolta.
C’era un che di titanico in quella situazione, una titanica sconfitta come forse accade sempre con le persone normali quando la vita presenta un conto troppo amaro e crudele da accettare: avrei voluto abbracciarlo più per consolare me che lui: riuscii soltanto ad offrirgli una sigaretta.
Fumammo insieme, in silenzio.

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